mercoledì 6 aprile 2016

Sotto il cielo di aprile


"Sotto il cielo di aprile la mia pace/ è incerta." dice il primo verso di una poesia di Penna. E' forse tra gli incipit più belli che io conosca. Si pensa sempre che la poesia debba fissare, fermare qualcosa di preciso, di "certo". Qui invece è qualcosa di "incerto", o meglio qualcosa di colto in un passaggio, in un mutamento non ancora definitosi, precisatosi, che la poesia fissa. Forse perchè c'è un incanto e non soltanto un mistero nell'"incerto", qualcosa che turba la "pace" di un "cielo di aprile" proprio perchè insieme la costituisce. Le acque dormono ancora "ma come ad occhi aperti." Come dire che la "pace" non è ancora attinta e che la sua "incertezza" rimanda all'attimo che lega ancora il sonno alla veglia, il dormire al guardare, la vita colta in un attimo incerto al nostro totale abbandonarci, addormentarci in essa. Eppure un attimo dopo il "vento", il flusso potente della vita ha già "disperso" il suo cuore. Era questa perdita l'agognata certezza della pace? La giovinezza dei ragazzi, il bianco delle loro camicie "stampate" sul verde è un'altra immagine prima pura, candida e poi sensuale, verdeggiante di quel medesimo flusso. Al poeta, già solo, non resterà che un lampo di quel flusso e la vita continuerà dopo di lui, "stampata", fissata per sempre sul verde dei prati. La poesia è un "lampo" della vita, non la vita stessa.
Salvatore Tinè