martedì 15 novembre 2016

Fai bei sogni


"Fai bei sogni"- dice la madre al bambino pochi attimi prima della sua morte. Comincia così il film "Fai bei sogni" di Bellocchio. La morte della madre come un vero e proprio blocco della crescita, del processo del divenire adulti è il suo tema. I continui e angosciosi "flashback" che riportano il protagonista del film, un affermato giornalista de "La stampa" di Torino, alla sua esperienza di orfano, sono la metafora visiva di questo blocco. L'incapacità di accettare la sconvolgente "fatticità" della morte della madre che segna la vita del bambino continuerà a condizionare anche la sua vita futura. L'inconscio è al fondo una negazione della progressiva linearità del tempo, l'angoscioso ritorno di ciò che si ripete continuamente perchè non è mai stato accettato o assunto nella sua realtà incancellabile. L'idea che la morte sia un mistero, prima ancora che un fatto è in fondo alla base delle fedi, delle religioni. E paradossalmente sarà un prete che dopo una lezione sull'origine dell’universo e della vita, proverà a spiegare al bambino che dietro il suo incalzante domandare sulla "vita eterna" c'è soltanto la ricerca della madre morta, la non accettazione della sua scomparsa.  In fondo la religione scaturisce proprio dal medesimo atteggiamento del bambino protagonista del film: ovvero dal tentativo di proteggersi dal dolore, dalla sua apparente assurdità, piuttosto che guardarlo in faccia, accettarne l'esistenza per affrontarlo e provare a dare ad esso un senso che non sia soltanto illusorio, mera consolazione. La passione del protagonista per il calcio indotta dal padre e forse unica vera “comunicazione” con il genitore ci dice di questo blocco infantile del protagonista. La folla di tifosi che esulta nella intensa scena che vede il padre stringere a sé il figlio dopo un gol del Torino è una moltitudine “bambina”, una folla di adulti immaturi che “storicizza”, universalizza, visivamente, il dramma del bambino che vediamo esultare solo forzatamente.  Ne "I pugni in tasca", il protagonista uccideva la madre, in "Fai bei sogni" il bambino anche divenuto adulto continua a ricordarla e a sognarla, non cessando di interrogarsi sul "mistero" della sua morte sebbene senza mai il coraggio di penetrare veramente dentro di esso, dentro la sua verità che il padre e la madrina hanno deciso di tenergli nascosta. Perciò il ricordo si volge sempre in sogno e questo in incubo. Sarà forse una donna, un medico conosciuto durante un terribile "attacco di panico", a salvarlo, aiutandolo a sciogliersi, ad accorgersi del suo inconscio fino a quel momento soltanto rimosso e bloccato, a "lasciarsi andare" e a “lasciare andare” la madre. Nella scena forse più bella del film la vediamo fissare con lo sguardo calmo e distaccato di un medico  gli occhi del protagonista. Dire sempre la verità ai propri pazienti si rivela così come l’unica terapia possibile e paradossalmente molto più efficace e “rassicurante” dell’ansia protettiva della madre e dei suoi “bei sogni”. In fondo lo sguardo di quella donna è la metafora di quello del cinema, così come la televisione che il bambino è solito guardare prima di addormentarsi con la madre è la metafora dei nostri “bei sogni”. La tarda scoperta del suicidio della madre si porrà così come la premessa fondamentale di un cambiamento possibile nella vita bloccata del protagonista del film, ponendolo di fronte al problema delle ragioni  e perfino della legittimità morale del gesto estremo di quella donna e di quella madre. Un gesto in cui l’”egoismo” della madre sembra inestricabilmente intrecciarsi e confondersi col “coraggio” della donna. Non a caso la scena in cui vediamo la donna che lo ha “salvato” tuffarsi coraggiosamente dall’alto di un trampolino nella vasca di una piscina evoca immediatamente l’immagine della madre che si è lanciata dal quinto piano di casa sua. Due immagini che sembrano sovrapporsi ed evocare insieme proprio quel coraggio del “lasciarsi andare” di cui il protagonista si mostra quasi sempre incapace. Perciò ossessivamente, angosciosamente la figura della madre ritorna, ma forse per la prima volta forse come protagonista e non più solo filtrata dal ricordo del figlio, nell'ultima sequenza del film che la vede spaventare il bambino giocando con lui a nascondersi. Terribile presagio o metafora della sua morte e forse anche del suo suicidio, il suo giocare a nascondino con il figlio ritorna nella memoria e nell’inconscio di quest'ultimo insieme come un dolce ricordo e un sogno angoscioso. Sintomo della verità insopportabile e rimossa, i “bei sogni” sono i nostri incubi.


Salvatore Tinè