domenica 25 settembre 2016

Un borghese fuorviato


La pagina di "Tonio Kroeger" in cui il suo protagonista con "stupore" e "delusione", dinanzi all'altare del suo amore deve riconoscere che la sua fiamma si è innavertitamente spenta e che la fedeltà è impossibile su questa terra, per poi alzare le spalle e continuare per la sua strada, mi pare tra le più belle e alte del libro. Mi viene in mente Faust che per continuare la sua strada deve lasciare Margherita e tuttavia non perchè la fiamma del suo amore si sia spenta ma perchè quell'amore pure immenso non può contenere l'ansia di conoscenza e di infinito che non cessa di spingerlo sempre in avanti, oltre ogni limite, ogni ambito che rischi di chiudere e circoscrivere la sua tensione di vita e di conoscenza. Ma diverso è il caso di Kroeger nel cui cuore la fiamma dell'amore si è già spenta, quando egli decide di continuare per la sua strada. "Sentiva in sé la voglia e le forze di compiere a modo suo nel mondo una quantità di grande cose". Se in Faust è proprio la fiamma dell'amore a spingerlo inesorabilmente all'infedeltà verso di esso, in Tonio è invece il suo affievolirsi a spingerlo a gettarsi nel mondo. E tuttavia la strada che la sua infedeltà gli apre dinanzi sembra condurlo non tanto verso la solida realtà del mondo quando verso un mondo di "possibilità", colte soltanto in una vaga, inattingibile lontananza: "Seguì la via che doveva seguire, con un passo indolente e diseguale, fischiettando e guardando lontano, la testa reclinata su una spalla,e se sbagliava strada, ciò accadeva perchè per certuni non esiste la strada giusta. Quando gli domandavano che cosa pensasse di fare nel mondo, dava risposte vaghe, perchè soleva dire (e lo aveva già scritto) che portava in sé la possibilità di mille forme di esistenza, insieme con la segreta consapevolezza che, in fondo, si trattava di altrettante impossibilità". E' chiaro che il mondo cui già qui si allude è quello dell'arte, della creazione artistica, non certo quello della vita e del fare umani culmine supremo del cammino di Faust.  All'amica pittrice Lisaveta, Kroeger dirà non a caso che bisogna "trovarsi rispetto all'umano in un rapporto di strana lontananza, di non partecipazione, per essere in grado, e anzi sentirsi tentati di rappresentarlo, di giocare con esso, di riprodurlo con gusto ed efficacia". Di qui la rivelazione dell'essenza "amletica" della sua incapacità di amare e di amare la vita: "vedere chiaro anche attraverso il velo di lacrime del sentimento, riconoscere, notare, osservare e dover mettere da parte con un sorriso quel che si è osservato, ancora nei momenti in cui le mani si stringono, labbra si incontrano, in cui lo sguardo umano, accecato dalla sensazione, si spegne." Così all'apparenza il mondo dell'arte si contrappone al mondo "tout court" e l'incapacità di vivere e amare, una sostanziale infedeltà alla vita, trova nella "loquacità amletica" dell'artista, come splendidamente viene definita dallo stesso Kroeger, il suo unico risarcimento. Ma sarà l'amica Lisaveta a cogliere il vero nucleo ridicolo di tale risarcimento, ovvero la sua essenza borghese che ridicolmente, comicamente si dissimula dietro le forme e gli inganni dell'arte. "Lei è semplicemente un borghese" dice all'amico per aggiungere un attimo dopo averlo colpito duramente: "Lei è un borghese su una strada falsa-un borghese fuorviato". E' da questa consapevolezza della sua natura borghese che prende le mosse il viaggio di Kroeger, un viaggio a ritroso, alla ricerca della sua natura e quindi delle sue origini, volto quindi a ritrovare il mondo lasciato, la fedeltà ad esso. Cosi la strada verso la Danimarca di Amleto non potrà che passare per la sua città natale  e il suo viaggio tornare al suo "punto di partenza". La splendida lettera a Lisaveta che conclude il racconto ci svela il senso dell'odissea di questo novello Ameto che è in fondo Kroeger. "Quello che ho fatto è niente; non è molto, anzi non è nulla. Farò di meglio, Lisaveta: questa è una promessa. Mentre scrivo, il mare strepita ed io chiudo gli occhi. Guardo in un mondo non ancora nato, soltanto sbozzato, che cerca ordine e forma; vedo brulicare ombre di figure umane che mi fanno cenni perchè spezzi la malia che le tiene prigioniere, perchè le liberi e le redima; tragiche e ridicole, e alcune che sono l'uno e l'altro insieme - e queste mi sono specialmente care. Ma il mio amore più profondo e segreto appartiene ai biondi dagli occhi azzurri, ai luminosamente vivi, agli esseri felici, amabili e comuni. Non rida di quest'amore, Lisaveta; esso è buono e fecondo. Ha in sé un desiderio struggente, un'indivia mesta, un po' di disprezzo e una grande, pura beatitudine."
Dunque la fine del viaggio è il suo ricominciamento e il suo senso di nuovo una promessa e tuttavia non più inafferrabile e lontana come le mere possibilità destinate a volgersi in "impossibilità" che si stagliavano davanti al giovane Kroeger all'inizio del suo cammino di borghese sviato.  L'acquisita coscienza dell'artista di non aver fatto ancora niente è la garanzia della solidità e concretezza di quella promessa e che un mondo non ancora nato, perchè ancora privo di "ordine" e "forma", potrà tuttavia nascere. Il borghese fuorviato ha ritrovato la strada ma il cammino è soltanto all'inizio e non è detto che sarà ancora lui a percorrerlo.

Salvatore Tinè

martedì 13 settembre 2016

Io, Bertolt Brecht.



Mentre leggo Brecht mi fermo un attimo a riflettere sulla sua poesia. Nella poesia l'io parla a se stesso e di se stesso. Brecht invece parla a noi, a noi tutti e di noi tutti. Eppure il suo "io" e la sua voce si impongono con una forza, una chiarezza e una nettezza di accento inconfondibili. Non ingannino i contenuti ideologici della sua poesia. La loro forza è tutta nell'io che li fa propri, che in essi si cala completamente facendone materia della sua esistenza tutta umana e terrestre. "Nei terremoti futuri- dice in una sua splendida poesia- io spero/ che non si spenga il mio virginia per l'amarezza,/ io, Bertolt Brecht, sbattuto nelle città d'asfalto/ dai neri boschi, nel grembo di mia madre, in tenera età". Spesso aspra e dura come l'asfalto delle città in cui ci trasporta, la sua poesia non vuole salvarci e neanche indicarci illusorie vie di fuga o d'evasione dal mondo terribile in cui viviamo e neanche dalla umana, amara fatica quotidiana del vivere che continua a scandire i nostri giorni anche nei grandi "terremoti" della storia. Tutta concreta e terrena dunque la "speranza" evocata da Brecht in quei versi, ovvero tutta immanente al suo "io". Ma la potenza tutta lirica e poetica di questo "io" scaturisce dal nome e cognome che lo accompagna. "Io, Bertolt Brecht" dice il poeta, presentandosi a noi, con tutta la concreta unicità umana della sua personale identità che soltanto il suo nome e cognome possono restituirci. Intanto la sua poesia parla a noi, in quanto in essa ci parla non un astratto "io" poetico ma un individuo concreto, in tutta la irripetibile, fisica, completamente terrestre "parzialità" del suo punto di vista, della sua vita umana sulla nuda terra. Il comunismo di Brecht altro non è allora che l'umana universalità di questo semplice ma potentissimo perchè umanissimo grido "io, Bertolt Brecht". "Bello è prendere la parola nella lotta di classe" dice un suo grande bellissimo verso. Ecco cosa è la poesia: "prendere parola nella lotta di classe". Nella dura concretezza della lotta, fuori dalla quale non si esce se non illusoriamente, Brecht come tutti noi da quella lotta chiamato a prendere parte ad essa, "prende la parola". La "bellezza" di questa "presa di parola" è certo anche, classicamente, la bellezza della "parola poetica". Ma qui tale bellezza si è tutta risolta in quella del "prendere parola". Perciò essa perde per la prima volta forse nella storia della letteratura universale, ogni sua equivoca magia, ogni pretesa di verità assoluta o metafisica per farsi "parola" tutta umana, tutta calata nelle necessità della vita e della lotta per essa Nella presa di parola "il virginia" di Brecht dunque non si spegne per l'amarezza. Debole e insieme potentissima come la protezione del grembo materno, la parola presa ci conforta ma solo per continuare a vivere e a lottare.

Salvatore Tinè