martedì 13 settembre 2016

Io, Bertolt Brecht.



Mentre leggo Brecht mi fermo un attimo a riflettere sulla sua poesia. Nella poesia l'io parla a se stesso e di se stesso. Brecht invece parla a noi, a noi tutti e di noi tutti. Eppure il suo "io" e la sua voce si impongono con una forza, una chiarezza e una nettezza di accento inconfondibili. Non ingannino i contenuti ideologici della sua poesia. La loro forza è tutta nell'io che li fa propri, che in essi si cala completamente facendone materia della sua esistenza tutta umana e terrestre. "Nei terremoti futuri- dice in una sua splendida poesia- io spero/ che non si spenga il mio virginia per l'amarezza,/ io, Bertolt Brecht, sbattuto nelle città d'asfalto/ dai neri boschi, nel grembo di mia madre, in tenera età". Spesso aspra e dura come l'asfalto delle città in cui ci trasporta, la sua poesia non vuole salvarci e neanche indicarci illusorie vie di fuga o d'evasione dal mondo terribile in cui viviamo e neanche dalla umana, amara fatica quotidiana del vivere che continua a scandire i nostri giorni anche nei grandi "terremoti" della storia. Tutta concreta e terrena dunque la "speranza" evocata da Brecht in quei versi, ovvero tutta immanente al suo "io". Ma la potenza tutta lirica e poetica di questo "io" scaturisce dal nome e cognome che lo accompagna. "Io, Bertolt Brecht" dice il poeta, presentandosi a noi, con tutta la concreta unicità umana della sua personale identità che soltanto il suo nome e cognome possono restituirci. Intanto la sua poesia parla a noi, in quanto in essa ci parla non un astratto "io" poetico ma un individuo concreto, in tutta la irripetibile, fisica, completamente terrestre "parzialità" del suo punto di vista, della sua vita umana sulla nuda terra. Il comunismo di Brecht altro non è allora che l'umana universalità di questo semplice ma potentissimo perchè umanissimo grido "io, Bertolt Brecht". "Bello è prendere la parola nella lotta di classe" dice un suo grande bellissimo verso. Ecco cosa è la poesia: "prendere parola nella lotta di classe". Nella dura concretezza della lotta, fuori dalla quale non si esce se non illusoriamente, Brecht come tutti noi da quella lotta chiamato a prendere parte ad essa, "prende la parola". La "bellezza" di questa "presa di parola" è certo anche, classicamente, la bellezza della "parola poetica". Ma qui tale bellezza si è tutta risolta in quella del "prendere parola". Perciò essa perde per la prima volta forse nella storia della letteratura universale, ogni sua equivoca magia, ogni pretesa di verità assoluta o metafisica per farsi "parola" tutta umana, tutta calata nelle necessità della vita e della lotta per essa Nella presa di parola "il virginia" di Brecht dunque non si spegne per l'amarezza. Debole e insieme potentissima come la protezione del grembo materno, la parola presa ci conforta ma solo per continuare a vivere e a lottare.

Salvatore Tinè

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