martedì 2 maggio 2017

Edipo a Colono


Al "Verga" di Catania per l'"Edipo" di Mauri e Sturno, sono subito colpito dall'immagine cinematografica di un enorme volto femminile, quello dello Sfinge sul fondale del teatro e poi dalla visione non più "virtuale" che appena un attimo dopo mi sopraggiunge del "piccolo" Edipo sul palcoscenico di fronte a lei. "Forse ha già sciolto l'enigma", penso subito. Mi sembra l'inizio migliore per uno spettacolo che dovrà raccontare il tentativo da parte di un uomo di scogliere un altro enigma, quello di se stesso. "Accada quel che accade, io voglio sapere chi sono" grida Edipo, pronunciando una frase che sembra riassumere non soltanto l'intera tragedia di "Edipo Re" ma il senso stesso della tragedia in quanto tale, il luogo metafisico e politico insieme dello scontro, della più terribile antitesi ma anche delle "sintesi" tra l''accadere" del destino e la "volontà" di sapere intorno ad esso dell'uomo, nel sapere risolvendosi in definitiva la stessa volontà in quanto tale e non solo quella di "sapere." E tuttavia non soltanto di questo ci parlerà  l'"Edipo" di Mauri e Sturno. Esso sembra nascere infatti dall'idea molto interessante e coraggiosa di unificare in un unico spettacolo l'"Edipo Re" e "l'Edipo a Colono" rispettando però l'autonomia delle due tragedie, non a caso realizzate con due regie diverse. Il risultato è felicemente straniante. I due spettacoli appaiono infatti perfino contrapposti per le prospettive antitetiche da cui il medesimo mito viene riproposto e indagato. Il crollo di un re potente, pronto e deciso a tutto pur di comprendere la propria identità, l'enigma della propria origine dentro la quale è in fondo sempre racchiuso il nostro destino è il tema del primo spettacolo. La superiore consapevolezza del vecchio Edipo ormai alla fine del proprio percorso di espiazione e dolore ma proprio perciò non più schiacciato dal peso della colpa e sostenuto dalle figlie amatissime, il tema del secondo. Ma così pur da queste così diverse prospettive i due spettacoli finiscono per illuminarsi a vicenda e lo splendido dialogo il cui vecchio Edipo, magnificamente interpretato da Mauri impartisce una lezione sul rapporto tra potere e giustizia al figlio Polinice spodestato dal fratello ci fornisce una chiave anche per comprendere le ragioni della rovinosa caduta non solo umana ma anche politica di Edipo Re dopo il suo trionfo a Tebe. In tutto il primo spettacolo una permanente luce da incubo e claustrofobica avvolge il protagonista, come la metafora scenica dell'abisso della sua ancora ignota identità, mentre lo spazio chiuso in cui Roberto Sturno nei panni di Edipo non cessa di agitarsi in un perenne moto circolare sembra rinviare alla stessa prigione dell'io, dalla quale, come dal proprio destino, non è possibile evadere. Ma poi nel successivo spettacolo la luce nitida che avvolge il bosco sacro alle Eumenidi, la sua confortante chiarità ci dà il senso dell'approdo finale della sua vita ad una dolorosa ma composta saggezza pregna di umanità e giustizia, in grado di guardare come "a distanza" il non rimosso sebbene già remoto passato di figlio assassino del padre e marito incestuoso: in quella soglia tra vita e morte capace di cogliere entrambe nella loro tragica compresenza, che è la vecchiaia, anche il dolore, come tremendo cammino di conoscenza della "giustizia" può essere pensato e rivelare così un senso "cosmico" e non solo umano. Due prospettive diverse sullo stesso mito, su quell'enigma che è Edipo sembrano così convertirsi in due diversi momenti del tempo di una vita.

Salvatore Tinè