domenica 24 luglio 2016
La palla di Deineka
Il "calciatore" di Deineka in suo quadro del 1932 sembra volare come la palla che calcia ma verso il cielo, ovvero lo spazio del futuro. E come un sole del futuro (sebbene non ancora rosso come la maglietta del ragazzo) la palla calciata sembra fermarsi nell'azzurro del cielo accanto al campanile della chiesa. Come pochi altri forse Deineka ha "oggettivato" nella pittura, attraverso il disegno e il colore, la poesia del movimento ma ancor più la sua essenza, il suo "assoluto". Non si tratta di una astratta mistica del movimento banalmente, genericamente "futuristica". Certo, in Deineka il movimento delle cose, come degli uomini ha il tono, il carattere del sogno, della favola, del gioco infantile, leggero come la palla scagliata in alto dalla gamba del ragazzo, oltre il campanile di quella chiesa che si staglia soltanto sullo sfondo del quadro, simbolo della tradizione, del passato, di una storia la cui enorme pesantezza ci si è ormai lasciata alle spalle. Eppure nella pura oggettività del gesto del "calcio" ogni astratta, romantica, puramente soggettiva "interiorità" si è come dissolta: l'interno si è fatto esterno e la "favola" ha assunto la concreta fisicità del reale. Il calciatore sovietico è il Discobolo greco fattosi contemporaneo. Perciò l'immagine del giovane calciatore è quella del comunismo, oggettivazione della sua essenza e non solo dello slancio proteso verso di esso, quello che animò un intero popolo nell'epoca storica vissuta da Deineka. Una società nella quale "l'estrinsecazione delle doti creative" dell'uomo si fa "assoluta": così Marx definiva, senza nominarlo, il comunismo. Non più soltanto "qualcosa di divenuto", in essa, per Marx, l'uomo "è nel movimento assoluto del divenire". Certo proprio tale carattere "assoluto" del "divenire rende anacronistica ogni culto della "forma compiuta". delimitata, del tipo di quella dominante nel mondo antico. Ma è proprio in questo "assoluto" che il divenire, il movimento, ormai fine in sè, e non più mezzo alla valorizzazione del capitale, è destinato ad attingere nel mondo contemporaneo la sua forma. E tuttavia non più quella fissata in eterno, mera idea sebbene fattasi sensibile, ma una forma immanente allo stesso movimento, da esso prodotta, in una unità non più separabile ma indissolubile, ontologica. In questo senso, movimento assoluto è il gesto del calciatore di Deineka, unità del divenire e del divenuto, ancora forma. Il gioco del calcio, la sua "tecnica" è allora non solo immagine, metafora del comunismo come divenire assoluto ma della stessa "tecnica", della stessa ripetitiva, perfetta "meccanicità" assunta dal lavoro moderno. Benjamin ha notato una volta la paradossale affinità tra il lavoro meccanizzato e il gioco. Entrambi si svolgono infatti all'insegna della ripetizione. Il gesto del calcio è eterno come la forma proprio perchè si ripete. Non quindi ad una tanto utopistica quanto estetizzante contrapposizione della leggerezza del gioco alla durezza del lavoro industriale allude Deineka nel suo quadro quanto alla loro sostanziale identità, in essa individuando insieme all'essenza della tecnica quella del comunismo.
Salvatore Tinè
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