"Fai bei sogni"-
dice la madre al bambino pochi attimi prima della sua morte. Comincia così il
film "Fai bei sogni" di Bellocchio. La morte della madre come un vero
e proprio blocco della crescita, del processo del divenire adulti è il suo
tema. I continui e angosciosi "flashback" che riportano il
protagonista del film, un affermato giornalista de "La stampa" di
Torino, alla sua esperienza di orfano, sono la metafora visiva di questo
blocco. L'incapacità di accettare la sconvolgente
"fatticità" della morte della madre che segna la vita del bambino
continuerà a condizionare anche la sua vita futura. L'inconscio è al fondo una
negazione della progressiva linearità del tempo, l'angoscioso ritorno di ciò
che si ripete continuamente perchè non è mai stato accettato o assunto nella
sua realtà incancellabile. L'idea che la morte sia un mistero, prima ancora che
un fatto è in fondo alla base delle fedi, delle religioni. E paradossalmente
sarà un prete che dopo una lezione sull'origine dell’universo e della vita,
proverà a spiegare al bambino che dietro il suo incalzante domandare sulla
"vita eterna" c'è soltanto la ricerca della madre morta, la non
accettazione della sua scomparsa. In
fondo la religione scaturisce proprio dal medesimo atteggiamento del bambino
protagonista del film: ovvero dal tentativo di proteggersi dal dolore, dalla
sua apparente assurdità, piuttosto che guardarlo in faccia, accettarne
l'esistenza per affrontarlo e provare a dare ad esso un senso che non sia
soltanto illusorio, mera consolazione. La passione del protagonista per il
calcio indotta dal padre e forse unica vera “comunicazione” con il genitore ci
dice di questo blocco infantile del protagonista. La folla di tifosi che esulta
nella intensa scena che vede il padre stringere a sé il figlio dopo un gol del
Torino è una moltitudine “bambina”, una folla di adulti immaturi che “storicizza”,
universalizza, visivamente, il dramma del bambino che vediamo esultare solo
forzatamente. Ne "I pugni in
tasca", il protagonista uccideva la madre, in "Fai bei sogni" il
bambino anche divenuto adulto continua a ricordarla e a sognarla, non cessando
di interrogarsi sul "mistero" della sua morte sebbene senza mai il
coraggio di penetrare veramente dentro di esso, dentro la sua verità che il padre
e la madrina hanno deciso di tenergli nascosta. Perciò il ricordo si volge
sempre in sogno e questo in incubo. Sarà forse una donna, un medico conosciuto
durante un terribile "attacco di panico", a salvarlo, aiutandolo a
sciogliersi, ad accorgersi del suo inconscio fino a quel momento soltanto
rimosso e bloccato, a "lasciarsi andare" e a “lasciare andare” la
madre. Nella scena forse più bella del film la vediamo fissare con lo sguardo calmo
e distaccato di un medico gli occhi del
protagonista. Dire sempre la verità ai propri pazienti si rivela così come l’unica
terapia possibile e paradossalmente molto più efficace e “rassicurante” dell’ansia
protettiva della madre e dei suoi “bei sogni”. In fondo lo sguardo di quella
donna è la metafora di quello del cinema, così come la televisione che il
bambino è solito guardare prima di addormentarsi con la madre è la metafora dei
nostri “bei sogni”. La tarda scoperta del suicidio della madre si porrà così
come la premessa fondamentale di un cambiamento possibile nella vita bloccata
del protagonista del film, ponendolo di fronte al problema delle ragioni e perfino della legittimità morale del gesto
estremo di quella donna e di quella madre. Un gesto in cui l’”egoismo” della
madre sembra inestricabilmente intrecciarsi e confondersi col “coraggio” della
donna. Non a caso la scena in cui vediamo la donna che lo ha “salvato” tuffarsi
coraggiosamente dall’alto di un trampolino nella vasca di una piscina evoca
immediatamente l’immagine della madre che si è lanciata dal quinto piano di
casa sua. Due immagini che sembrano sovrapporsi ed evocare insieme proprio quel
coraggio del “lasciarsi andare” di cui il protagonista si mostra quasi sempre
incapace. Perciò ossessivamente, angosciosamente la figura della madre ritorna, ma forse per la prima volta forse come
protagonista e non più solo filtrata dal ricordo del figlio, nell'ultima
sequenza del film che la vede spaventare il bambino giocando con lui a
nascondersi. Terribile presagio o metafora della sua morte e forse anche del
suo suicidio, il suo giocare a nascondino con il figlio ritorna nella memoria e
nell’inconscio di quest'ultimo insieme come un dolce ricordo e un sogno angoscioso.
Sintomo della verità insopportabile e rimossa, i “bei sogni” sono i nostri
incubi.
Salvatore Tinè