lunedì 26 febbraio 2018

ATTRICI



In una pagina di “Lutezia” dedicata alla Parigi degli anni ’40 del XIX secolo, Heinrich Heine spiega  mirabilmente il nesso che lega il dominio degli uomini nel teatro della politica parlamentare a quello delle donne nel teatro vero e proprio: alla corruzione dei politici nel cosiddetto “sistema rappresentativo” corrisponde la prostituzione delle donne sulle tavole dei grandi e dei piccoli teatri parigini.  Non è infatti dalla politica che la società francese emargina le donne secondo il grande scrittore tedesco ma soltanto, si direbbe,  dalla sua “commedia”. E gli attori protagonisti nel teatro “finto” non possono che essere mediocri a differenza delle donne eccellenti protagoniste in quello “vero”. “Io stesso ho detto altrove- scrive Heine- che la vita pubblica in Francia, col sistema rappresentativo e le lotte politiche, assorbe i migliori talenti scenici fra i francesi, mentre sul vero  e proprio teatro si trovano soltanto le mediocrità. Ciò vale, però, per gli uomini, non per le donne. La scena francese è ricca di attrici di sommo valore, e in ciò l’attuale generazione supera forse la precedente. Vediamo stupendi ammirevoli ingegni, che poterono svilupparsi in così gran numero in quanto le donne, causa un’ingiusta legislazione, causa l’usurpazione degli uomini, sono escluse da ogni carica e funzione politica e non possono far valere le loro doti sulle tavole del Palais-Bourbon o del Luxembourg. Il loro empito di pubblicità trova sfogo soltanto nelle case pubbliche sacre all’arte o alla galanteria, ed esse diventano attrici o mondane, o entrambe le cose insieme.” Dunque, lungi dal configurarsi come una almeno potenziale emancipazione delle donne dal domini maschile, l’eccellenza femminile nel teatro e quindi nell’industria dell’ “arte” e della pubblicità ne è soltanto una necessaria conseguenza.  La  “commedia erotica” che va continuamente in scena nei teatri e la prostituzione delle loro protagoniste, ovvero delle donne fattesi insieme attrici e cortigiane si presenta come la verità della gigantesca commedia in cui si è mutata la società francese e insieme come il suo nucleo o vuoto tragico. Un vuoto abissale che emerge nelle pagine di Heine con gelida spietatezza. “Qui tutte le belle attrici hanno il loro prezzo, e quelle che non puoi avere a nessun prezzo, sono certo le più care. Le più delle giovani attrici vengono mantenute da scialacquatori o da pescecani. D’altro canto, le mantenute di mestiere, le cosiddette ‘femmes entretenues’ ardono dalla smania di calcare le scene, smania in cui si fondono vanità e calcolo, poiché il teatro è il luogo ideale ove mettere in mostra i propri vezzi fisici, attrarre l’attenzione dell’alta ‘debauche’ e nel contempo farsi ammirare dal grande pubblico. Queste signore, che recitano per lo più in teatri minori, non ricevono abitualmente alcun compenso, anzi pagano esse al direttore una somma mensile, per il favore di potersi produrre nel suo teatro. Qui non sai mai quando recita l’attrice e quando la cortigiana, quando siamo nel dramma e quando subentra la nuda natura, quando il verso pentapodo si tramuta in impudicizia quadrupede. Questi anfibi dell’arte e del vizio, queste Melusine della Senna, formano, certo, la parte più pericoloso della Parigi galante, dove già tanti leggiadri mostri esercitano la loro malia. Guai all’inesperto che cada in quei lacci! Guai anche all’uomo esperto, che sa che la vaga sirena termina in una laida coda di pesce, e tuttavia non sa resistere all’incanto, e forse è soggiogato proprio da questa voluttà del raccapriccio, dal fatale fascino d’una rovina deliziosa, d’un dolce abisso.” Un secolo dopo, Walter Benjamin ritornando sulla Parigi del XIX secolo, avrebbe individuato proprio nella figura della prostituta l’immagine dialettica in grado di “fermare”, sia pure solo per un attimo la rovina del tempo “vuoto” della società borghese: nel suo duplice carattere di “merce” e “venditrice” tale immagine avrebbe infatti rivelato un significato allegorico potenzialmente dialettico e sovvertitore. Si tratta della medesima indistinzione individuata da Heine tra la il “dramma” recitato dall’attrice e la “nuda natura” della “cortigiana. Tuttavia è proprio tale indistinzione a rendere evidente l’impossibilità di una vera dialettica della prostituzione. Lungi dal porsi come il vero luogo della politica e della emancipazione la “nuda natura” è infatti solo l’altra faccia e non certo il suo opposto polo dialettico, della politica ridotta a teatro, a “rappresentazione”, del sistema “rappresentativo”. “Le attrici in quanto corpi pubblicamente esposti- si legge in un recente documento firmato da 120 attrici contro le “molestie” nel cinema- smascherano un sistema che va oltre il nostro specifico mondo ma riguarda tutte le donne negli spazi di lavoro e non.” In realtà la “pubblicità” del corpo, il suo carattere politico è solo una delle manifestazioni di superficie di una politica ridotta anch’essa a pubblicità. Le grandi pagine di Heine sulle  grandi dame e cortigiane della Parigi del XIX secolo ci parlano delle “attrici” di oggi, della verità della loro vita e quindi della vita di tutti, che i loro futili sogni di emancipazione.

Salvatore Tinè

giovedì 15 febbraio 2018

Tutti gli uomini tristi sanno ridere.


In nessuna scena dei suoi film la maschera triste diTroisi riesce a farci ridere di più di quella di "Scusate il ritardo" in cui fa piangere una donna mentre il Napoli perde 2-0 col Cesena. Nel volto della De Sio la tristezza si scioglie nel pianto. In quello di Troisi si fissa per sempre nella maschera. Ed è questa fissità, contraria ad ogni flusso, a quello della vita come a quello del pianto, che ci fa ridere. La passione per il calcio è l'unico scatto di vita di cui è capace Troisi. Ma proprio nel suo rituale, meccanico ripetersi ogni domenica pomeriggio si contrappone tristemente e proprio dopo l'altrettanto meccanico rito sessuale appena consumatosi, all'imprevedibilità e quindi all'impegno della passione d'amore che muove al pianto la protagonista femminile. E infatti la sua incapacità di vivere una passione potenzialmente gioiosa e travolgente come l'amore con il medesimo trasporto e coinvolgimento di una passione triste come quella per il calcio a muoverci al riso tutte le volte che guardiamo Troisi in questa scena. Un riso che scaturisce dalla nostra immediata identificazione con lui, ovvero col suo '"amore" per così dire totalmente "passivo", tristemente onanistico e "impotente" per la propria squadra. Anche gli uomini tristi sanno ridere, ha scritto una volta Giacomo Leopardi. Troisi sembrerebbe una eccezione alla verità di una pure così autorevole affermazione. Forse per questo egli sa soltanto far ridere di se stesso e di noi stessi noi che lo guardiamo e piangere le donne con cui fa l'amore nei suoi film.

Salvatore Tinè

domenica 4 febbraio 2018

La Pietà.


Rivedo il volto giovane della madre nella "Pietà" di Michelangelo, il suo gesto che sembra offrire agli altri, a noi, il corpo del figlio morto. Ripensando alla "Madre" di Gorki, mi piace pensare che il suo sguardo, così contemplativo, così compostamente materno sulla bellezza così perfettamente umana e carnale del giovane figlio ci parli di una lotta della vita contro la morte tutta terrestre, tutta calata nella storia, nella vicenda umana. Il corpo del figlio non risorgerà, è già nostro, è già parte della nostra storia, già staccato dall'amore materno che lo ha generato, dal chiuso del giovane grembo della madre che Michelangelo pure ci mostra a simboleggiare la perenne potenza della vita. E' il tempo della storia, "trionfo" della vita, che vince la morte.

Salvatore Tinè