"Quel rivoluzionario professionale- scrive Malaparte nel suo appena uscito in libreria "Il buonuomo Lenin", a proposito del grande rivoluzionario russo- non concepisce il suo ruolo nella rivoluzione come quello di un eroe di Plutarco, dai bei gesti e dai nobili sentimenti, pronto al sacrificare la sua vita alla retorica degli storici. Lenin non ama il pericolo, egli trova che non è necessario arrischiare la sua vita per sforzarsi di cambiare il corso degli avvenimenti. Bisogna lasciare che gli avvenimenti seguano il loro corso. Il suo ruolo di rivoluzionario professionale, è di prepararsi ad impadronirsi, ad un dato momento, della situazione: cioè di crearsi un partito, di mettersi alla testa d'un pugno d'uomini risoluti, e di attendere." Sostanzialmente errata l'interpretazione in chiave fatalista e attendista della concezione leniniana della rivoluzione. Suggestiva invece la sottolineatura del rifiuto leniniano di ogni visione eroica o romantica della rivoluzione. Tuttavia sfugge a Malaparte il contenuto di segreta e profondissima passione rivoluzionaria che si nasconde nell'apparente freddezza del "rivoluzionario professionale", il nesso indisgiungibile che stringe "l'etica dell'intenzione" del quadro di partito alla lucida e spietata razionalità che presiede alla sua "etica della responsabilità". Si tratta in fondo del medesimo nesso che lega il movimento delle masse, quello che Malaparte definisce il "corso degli avvenimenti" alla funzione di direzione politica del partito. La distinzione tra i due momenti non configura alcuna contrapposizione di principio tra essi, come equivoca Malaparte, ma ben all'opposto, un nesso intrinseco, profondissimo. Lo stesso "attendere" del partito, il suo tenersi "pronto" per il momento giusto è un aspetto del corso degli avvenimenti, riconnettendosi sempre, ovvero in "ogni" momento al movimento invisibile ma non per questo meno profondo che percorre sotterraneamente il lento cammino della rivoluzione.
Salvatore Tinè