sabato 13 ottobre 2018
L'occhio nel buco.
Il buco della vasca da bagno che diventa l'occhio di Janet Leigh, appena assassinata in "Psycho" di Hitchcock. Non s'è mai visto forse un occhio di un morto o di una morta così vivo e profondo. Nella sovrapposizione e nella coincidenza dell'immagine del buco e di quella, raggelata e fissa come una fotografia, dell'occhio della donna, è forse il momento più significativo e impressionante del film. Mentre la telecamera, l'occhio di Hitchkock si avvicinano sempre più all'occhio della Leigh, quest'ultimo sembra come risucchiarci, attirare verso di se' il nostro sguardo, con la stessa inesorabilità con cui il buco della vasca attirava l'acqua sporca di sangue della donna morta che vi defluiva. Si direbbe che per la prima volta, in un paradossale rovesciamento di soggetto e oggetto della visione, guardiamo Janet Leigh attraverso il buco del suo sguardo, in esso risucchiati, piuttosto che attraverso quello più banale della serratura, lo stesso buco oltre il quale la donna era apparsa allo psicopatico, nella volgarità del cui sguardo è quindi da ravvisarsi una metafora della terribile banalità del male. Ma il sovrapporsi dell'occhio sul buco sembra prefigurare la sovrapposizione di immagini che chiude il film e forse ne racchiude il senso, quella tra lo sguardo immobile dello psicopatico e il teschio della madre uccisa. Dunque, due sequenze in cui il senso delle immagini non sta nel loro succedersi nel tempo ma piuttosto nel loro lento sovrapporsi spaziale, secondo una logica e un ritmo del tutto opposti alla frenetica, terribile successione di inquadrature istantanee che ci hanno appena mostrato il massacro del corpo così vivo e pulsante di Janet Leigh sotto la doccia. Per così dire, non una immagine "dopo" l'altra ma una immagine "sopra" l'altra. E tuttavia il senso della prima sovrapposizione sembra porsi come l'inverso di quello della seconda. A differenza del buco della vasca l'occhio della donna morta, pure sovrapposto ad esso, è tutt'altro che vuoto, suggerendoci, proprio nella sua fredda fissità, più il senso della profondità di uno sguardo che quello della mera assenza di vita: si direbbe che l'occhio di Hitchkock, affetto come sappiamo, non meno che quello dello psicopatico del suo film da una acuta forma di 'voyeurismo', abbia scorto in quel buco, oltre il corpo di Janet Leigh, un altro occhio, un altro sguardo di là dal banale voyeurismo proprio del cinema in quanto tale. Viceversa, nell'altra sequenza, agli occhi ben vivi del folle omicida si sovrappone l'immagine vuota, ma non meno terrificante del teschio della madre, lo sguardo, per così dire, delle sue orbite vuote. Ma Hitchcock non ci dice quale delle due sequenze sia la "verità" dell'altra, con quale occhio si identifichi il suo. E' qui il "vuoto" della sua "profondità", il "buco nero" in cui ci proietta il suo sguardo.
Salvatore Tinè
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