martedì 27 gennaio 2015

Fuori moda


Niente forse come le parole che Leopardi mette in bocca alla Moda nel suo "Dialogo della Moda e della Morte" ci fanno meglio cogliere l'essenza del tempo nella moderna società capitalistica insieme alla natura alienante e mortifera del suo insensato consumismo, un mero continuo cambiamento che tuttavia nulla cambia e che finisce per risolversi nella totale immobilità della morte: "Dico che la nostra natura e usanza comune è di rinnovare continuamente il mondo, ma tu fino da principio ti gittasti alle persone e al sangue; io mi contento per lo più delle barbe, dei capelli, degli abiti, delle masserizie, dei palazzi e di cose tali. Ben è vero, che io non sono però mancata e non manco di fare parecchi giuochi da paragonare ai tuoi, come verbigrazia sforacchiare quando orecchi, quando labbra e nasi, e stracciarli colle bazzecole che io vi appicco per li fori; abbruciacchiare le carni degli uomini con istampe roventi che io fo che essi v'improntino per bellezza; sformare le teste dei bambini con fasciature e altri ingegni, mettendo per costume che tutti gli uomini abbiano a portare il capo di una figura come ho fatto in America e in Asia; storpiare la gente colle calzature snelle; chiuderle il fiato e fare che gli occhi le scoppino dalla strettura dei bustini; e cento altre cose di questo andare. Anzi generalmente parlando, io persuado e costringo tutti gli uomini gentili a sopportare ogni giorno mille fatiche e mille disagi, e spesso dolori e strazi, e qualcuno a morire gloriosamente, per l'amore che mi portano. E non ti vo' dire nulla de mali di capo, delle infreddature, delle flussioni di ogni sorta, delle febbri quotidiane, terzane, quartane, che gli uomini si guadagnano per ubbidirmi, consentendo di tremare dal freddo o affogare dal caldo secondo che io voglio, difendersi le spalle coi panni lani e il petto con quei di tela, e fare di ogni cosa a mio modo ancorché sia con loro danno". La Moda esorcizza la Morte proprio mentre lavora per essa, sembra dirci Leopardi, evocando un'altra vita in grado di farci vedere la Morte e insieme dare senso, pienezza al nostro tempo, al tempo della vita, della "vita viva". Certo anche questo tempo è quello del presente e tuttavia di un presente che non passa, in grado di rendere presente, presentemente vivo il ricordo del passato come l'attesa o l'immaginazione del futuro. Presente è allora la vita del corpo che la "seconda natura" della Moda nega perfino fisicamente: sebbene violentato e costretto dentro le rigide maglie della Moda, il corpo continua ostinatamente a vivere e a resistere, alludendo ad un altro tempo, opposto e alternativo a quello sempre insensatamente proiettato in un vano futuro, proprio della Moda. "Il corpo è l'uomo" dice Tristano nel "Dialogo tra Tristano e un amico" e forse è proprio solo nella sua viva, sensibile presenzialità che memoria e attesa, passato e futuro possono finalmente congiungersi, di là da ogni filosofia della storia ma anche da ogni nostalgia reazionaria dell'origine o del mito

Salvatore Tinè

giovedì 22 gennaio 2015

Margherita


Leggo Leopardi ma penso a Goethe. Oltre la siepe che esclude "l'ultimo orizzonte" dal suo sguardo, Leopardi "spaurito" si avventura nell'infinito per annegare in fine ma dolcemente nel mare dell'essere. E tuttavia solo nel pensiero, nell'immaginazione. Nella sua ansia di assoluto e di infinito, il Faust di Goethe incontra Margherita ma finisce per lasciarla veramente e non solo nel pensiero, la sua tensione morale e intellettuale non potendo placarsi nell'amore, così puro, eppure così concretamente, sublimamente terrestre di quell'umile ragazza del popolo. E Mefistofele lo aiuta a superare il suo senso di colpa, il suo rimorso. Tanto dolce e piacevole pur dopo un senso di iniziale "spaurimento" il rapporto con l'infinito in Leopardi, quanto drammatico e lacerato in Goethe. Se in Leopardi la ricerca dell'infinito è quella infinita del piacere, desiderio mai soddisfatto, incolmabile, e che tuttavia non cessa di nutrire la vita presente del corpo e dei sensi, in Goethe la medesima tensione verso l'infinito, ovvero l'inesausta ricerca della felicità terrena finisce per sfociare in un'ansia di trascendenza. Leopardi contempla Silvia come l'immagine stessa di una felicità tanto sensibilmente concreta quanto transeunte e inattingibile. Faust che pure ha tra le sue braccia Margherita in tutta la sua sublime e calda vita, innamorata di lui non può appagarsene possedendola, convinto che l'infinito esista veramente, come un "assoluto", oltre Margherita, di là dal suo pensiero e dalla sua immaginazione.

Salvatore Tinè

domenica 18 gennaio 2015

Fuori moda





Niente forse come le parole che Leopardi mette in bocca alla Moda nel suo "Dialogo della Moda e della Morte" ci fanno meglio cogliere l'essenza del tempo nella moderna società capitalistica insieme alla natura alienante e mortifera del suo insensato consumismo, un mero continuo cambiamento che tuttavia nulla cambia e che finisce per risolversi nella totale immobilità della morte: "Dico che la nostra natura e usanza comune è di rinnovare continuamente il mondo, ma tu fino da principio ti gittasti alle persone e al sangue; io mi contento per lo più delle barbe, dei capelli, degli abiti, delle masserizie, dei palazzi e di cose tali. Ben è vero, che io non sono però mancata e non manco di fare parecchi giuochi da paragonare ai tuoi, come verbigrazia sforacchiare quando orecchi, quando labbra e nasi, e stracciarli colle bazzecole che io vi appicco per li fori; abbruciacchiare le carni degli uomini con istampe roventi che io fo che essi v'improntino per bellezza; sformare le teste dei bambini con fasciature e altri ingegni, mettendo per costume che tutti gli uomini abbiano a portare il capo di una figura come ho fatto in America e in Asia; storpiare la gente colle calzature snelle; chiuderle il fiato e fare che gli occhi le scoppino dalla strettura dei bustini; e cento altre cose di questo andare. Anzi generalmente parlando, io persuado e costringo tutti gli uomini gentili a sopportare ogni giorno mille fatiche e mille disagi, e spesso dolori e strazi, e qualcuno a morire gloriosamente, per l'amore che mi portano. E non ti vo' dire nulla de mali di capo, delle infreddature, delle flussioni di ogni sorta, delle febbri quotidiane, terzane, quartane, che gli uomini si guadagnano per ubbidirmi, consentendo di tremare dal freddo o affogare dal caldo secondo che io voglio, difendersi le spalle coi panni lani e il petto con quei di tela, e fare di ogni cosa a mio modo ancorché sia con loro danno". La Moda esorcizza la Morte proprio mentre lavora per essa, sembra dirci Leopardi, evocando un'altra vita in grado di farci vedere la Morte e insieme dare senso, pienezza al nostro tempo, al tempo della vita, della "vita viva". Certo anche questo tempo è quello del presente e tuttavia di un presente che non passa, in grado di rendere presente, presentemente vivo il ricordo del passato come l'attesa o l'immaginazione del futuro. Presente è allora la vita del corpo che la "seconda natura" della Moda nega perfino fisicamente: sebbene violentato e costretto dentro le rigide maglie della Moda, il corpo continua ostinatamente a vivere e a resistere, alludendo ad un altro tempo, opposto e alternativo a quello sempre insensatamente proiettato in un vano futuro, proprio della Moda. "Il corpo è l'uomo" dice Tristano nel "Dialogo tra Tristano e un amico" e forse è proprio solo nella sua viva, sensibile presenzialità che memoria e attesa, passato e futuro possono finalmente congiungersi, di là da ogni filosofia della storia ma anche da ogni nostalgia reazionaria dell'origine o del mito

Salvatore Tinè

sabato 3 gennaio 2015

Leopardi e il riso



E' la prima sequenza cinematografica che per caso mi capita di vedere in questo inizio del 2015: Troisi ha appena fatto l'amore con la De Sio ed il Napoli che gioca è già l'unica distrazione dalla sua chiusa malinconia. Stamattina un'amica citava una frase di Carlo Verdone:"O sai quanno è quello giusto, perchè è uno che te porta a ride". Troisi in questa grande sequenza fa piangere la De Sio ma con la sua faccia triste ci fa ridere come pochi altri geni della comicità sanno fare. Rileggo una pagina dell' "Elogio degli uccelli" di Leopardi sul riso. Anche gli uomini più tristi sanno ridere, dice Leopardi. Ma solo la tristezza dei grandi comici sa farci ridere, senza ridere- potremmo aggiungere.

Salvatore Tinè