giovedì 22 gennaio 2015

Margherita


Leggo Leopardi ma penso a Goethe. Oltre la siepe che esclude "l'ultimo orizzonte" dal suo sguardo, Leopardi "spaurito" si avventura nell'infinito per annegare in fine ma dolcemente nel mare dell'essere. E tuttavia solo nel pensiero, nell'immaginazione. Nella sua ansia di assoluto e di infinito, il Faust di Goethe incontra Margherita ma finisce per lasciarla veramente e non solo nel pensiero, la sua tensione morale e intellettuale non potendo placarsi nell'amore, così puro, eppure così concretamente, sublimamente terrestre di quell'umile ragazza del popolo. E Mefistofele lo aiuta a superare il suo senso di colpa, il suo rimorso. Tanto dolce e piacevole pur dopo un senso di iniziale "spaurimento" il rapporto con l'infinito in Leopardi, quanto drammatico e lacerato in Goethe. Se in Leopardi la ricerca dell'infinito è quella infinita del piacere, desiderio mai soddisfatto, incolmabile, e che tuttavia non cessa di nutrire la vita presente del corpo e dei sensi, in Goethe la medesima tensione verso l'infinito, ovvero l'inesausta ricerca della felicità terrena finisce per sfociare in un'ansia di trascendenza. Leopardi contempla Silvia come l'immagine stessa di una felicità tanto sensibilmente concreta quanto transeunte e inattingibile. Faust che pure ha tra le sue braccia Margherita in tutta la sua sublime e calda vita, innamorata di lui non può appagarsene possedendola, convinto che l'infinito esista veramente, come un "assoluto", oltre Margherita, di là dal suo pensiero e dalla sua immaginazione.

Salvatore Tinè

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