venerdì 26 giugno 2015

Touch of evil




Uno splendido piano-sequenza apre "Touch of evil" di Orson Welles. L'esplosione della bomba che lo chiude è preceduta da un bacio tra un uomo e una donna in viaggio di nozze in una città al confine tra gli USA e il Messico. L'esplosione è un assassinio e le vicende della indagine su di esso vedranno contrapporsi non tanto i poliziotti e gli assassini quanto piuttosto i poliziotti tra loro, un ispettore messicano e un poliziotto americano. La violenza di quest'ultimo è al di là della legge cui si invece non cessa di appellarsi il messicano, convinto che la giustizia non possa prescindere dal diritto. Il confine tra gli Usa e il Messico ci rinvia così anche a quello tra bene e male, tra violenza e diritto. Nei panni del violento e razzista Quinlan, nella sua debordante e mostruosa obesità, Welles  ci appare come la metafora visiva dell'impero americano e insieme del suo ormai irreversibile declino. Solo all'estremità dei suoi confini la realtà dell'impero si rende visibile di là dalla sua retorica del diritto e dagli infingimenti della ideologia: la mostruosa, kafkiana "metamorfosi" di Orson Welles nei panni di Quinlan è l'immagine stessa di tale verità. Non a caso il potere "assoluto", ovvero sciolto dalla legge, esercitato soltanto in nome di una astratta e inattingibile "giustizia", di Quinlan si dispiega lungo quel confine: come Walter Benjamin ci ha spiegato nel suo grande saggio sulla violenza, il potere della polizia è quello che sospende la legge proprio per difenderla, sempre al "confine" tra il potere di fondare la legge e quello di mantenerla. Eppure, il personaggio che interpreta è visto dallo stesso Welles non senza una qualche simpatia. Il suo "intuito" sembra non avere bisogno di prove "vere"; i suoi metodi brutali  e violenti appaiono come gli unici adeguati a fronteggiare una città dominata dal disordine e dall'anarchia. In questo universo quasi kafkiano il poliziotto messicano e il suo culto della legalità finiscono per apparirci quasi banali. Paradossale che sia il messicano a ricordare al collega americano il corretto comportamento della polizia in uno stato "libero". Tradito e spiato dal suo più fedele collaboratore, decisosi  a collaborare col suo antagonista messicano, Quinlan morirà alla fine del film e la scena finale in cui vediamo il suo pesante corpo scivolare lentamente nel fango e nella sporcizia di una discarica è certo tra le immagini più forti e pregnanti del film. In quel fango e in quella sporcizia affondano le loro radici la società e l'impero americani. L'esplosione della macchina all'inizio del film ne racchiude allora il suo senso più profondo: essa ci rinvia infatti alla realtà di un mondo già esploso i cui frantumi e detriti Welles non cessa di mostrarci in un film ancora una volta superbo per la sua potenza visionaria, per i suoi eccessi barocchi. "Qual è il mio futuro?" domanda il poliziotto americano ad una zingara chiromante interpretata da Marlene Dietrich. "Non ce l'hai!": risponde lei.

Salvatore Tinè

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