lunedì 19 maggio 2014

Baudelaire


Confidenza tortuosa e a un tempo bella,
il cuore è fatto ora specchio a se stesso!
Pozzo di verità, limpido e spesso:
dentro vi trema una pallida stella.

Faro colmo d' ironia, infernale
fiaccola che di Satana rischiara
le movenze, consolazione rara
eppur certa: la coscienza nel Male"

I versi finali de "L'Irrimediabile" di Baudelaire sono una potente riflessione della poesia su se stessa. La poesia è "confidenza", quindi rivelazione più profonda della coscienza, la cui "tortuosità" nulla sottrae alla "bellezza" del suo rivelarsi attraverso la parola e la sua musicalità. Ma questo rivelarsi della coscienza è in realtà solo il culmine di un movimento in apparenza opposto, ovvero quello del suo sprofondare in se stessa. In questo riflettersi, interiorizzarsi dell'individualità in se stessa Hegel aveva già indicato il sorgere della "coscienza", della soggettività, intesa in senso non più meramente estetico, ovvero come puro occhio che guarda ciò che si gli si erge di fronte. L'io viene definito non a caso da Baudelaire come "un pozzo di verità", "dentro" il quale "vi trema una pallida stella": la soggettività si fa "lirica" proprio in quanto scruta dentro il "pozzo di verità" che essa è, così ripiegandosi nelle abissali profondità di se stessa. Solo questo movimento di riflessione fa l'individuo cosciente di sé, ovvero cosciente del bene e del male. "E' la coscienza che ci rende vili!" diceva Amleto chiudendo il suo immortale monologo: dunque ogni "ingenuità" dopo il suo sorgere ci è per sempre preclusa. La coscienza "del" Male è per ciò stesso "nel" Male, come recita non a caso il verso di Baudelaire. Proprio perchè "nel" Male, in esso immersa, essa è tuttavia in grado di gettare su di esso una luce, come un "faro colmo di ironia", così illuminando il suo stesso fondo diabolico. Ancora con Hegel, si potrebbe allora dire che la coscienza è tale solo in quanto autocoscienza, ovvero solo in quanto in grado di sdoppiarsi, come la splendida metafora baudeleriana dello "specchio" sembra suggerirci. Ma la metafora ci dice anche che tale sdoppiamento non avviene solo nella "interiorità". La coscienza si guarda allo specchio, dunque dinanzi a sé, così proiettandosi nello "spazio" dell'immagine. La poesia non è più allora soltanto "espressione" lirica dell'io ma suo "specchio". Solo nell'immagine di sé, dunque nel suo alienarsi in essa, l'io guadagna la sua "oggettività" e può così guardarsi nel mondo, senza annullarlo nella mera interiorità del ricordo.Quella che lo specchio della poesia ci consegna non è più dunque una coscienza interna ma esterna, Ed è è proprio questo movimento di oggettivazione dell'io, di alienazione di sè nell'immagine finalmente esterna che consiste propriamente la poesia, la sua "bellezza", la sua luce "apollinea". La poesia è l'oggettività dell'io, come, goethianamente, "specchio del mondo", ovvero "fiore del male".

Salvatore Tinè

Nessun commento:

Posta un commento