giovedì 5 giugno 2014

Massimo Troisi, vent'anni dopo.


"Massimo Trosi: Il mio cinema secondo me" è un'ottima introduzione al cinema di Massimo Troisi: e' un interessante documentario in cui le immagini della vita e dei film del grande attore napoletano scorrono mentre ascoltiamo la sua voce fuori campo. Troisi ci parla della sua concezione del teatro, della comicità, del cinema, come un critico di se stesso, in un italiano perfino colto, lontanissimo dal napoletano strettissimo e incomprensibile dei suoi personaggi. Per la prima volta, l'attore napoletano ci parla da "intellettuale" della sua arte e tuttavia dal complesso del racconto della sua vita personale e artistica emerge un radicale, assoluto rifiuto di qualunque dimensione "intellettuale" dell'arte e forse perfino "artistica". "Si è registi nella vita quotidiana, non sul set", dice ad un certo punto. Un critico che compare nel film accosta giustamente il suo cinema a quello di Nanni Moretti: come il regista de "La messa è finita", anche Troisi svuota il cinema della sua enfasi, di ogni dimensione spettacolare, di ogni "artisticità" per concentrare lo sguardo della macchina da presa esclusivamente su un corpo, lo stesso corpo del regista. "Non mi interessa la tecnica del cinema". L'occhio di Troisi è in questo senso l'antitesi stessa dello sguardo "tecnologico", "artificiale" della macchina da presa, così come di ogni visione banalmente visionaria del cinema. Mi viene fatto di pensare, pensando a Troisi che il cinema, in fondo, molto più dello stesso teatro "scopre" il corpo: la macchina da presa gira attorno ad esso, addosso ad esso, per la prima volta rendendolo completamente visibile. Un'autoscopia del corpo: si potrebbe forse definire così l'arte cinematografica di Massimo Troisi, capace non soltanto di muoversi e recitare sulle tavole di un palcoscenico, ma anche di guardarsi recitare, volgendo su se stesso lo sguardo e solo così mostrandosi senza residui, in tutta la potenza della mera espressività fisica del suo corpo e insieme in tutta la sua debolezza, fragilità. Significative in tal senso le testimonianze degli attori a proposito della estrema difficoltà di recitare con Troisi, sincronizzando i loro tempi di recitazione con quelli del tutto imprevedibili, incalcolabili della sua: la regia dell'attore si risolve tutta nella sua recitazione ed anche quando dirige da "regista" l'attore lo fa recitando, come nella finzione. "Ho raccontato la mia inadeguatezza, la mia timidezza" dice Troisi: ma, bisogna aggiungere, che egli l'ha raccontata, mostrandola completamente, impudicamente. La timidezza che si mostra, ma restando tale: è in questo puro mostrarsi che si nasconde in fondo quella "ricerca di una purezza assoluta" di cui parla Lello Arena nel film. Il napoletano strettissimo risolto nella mera musica di un ritmo continuamente interrotto e ripreso finisce così per annullare la parola nella "smorfia" del volto, nella "lingua" pura, assoluta, del gesto. Il cinema è la "verità" del teatro.

Salvatore Tinè

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