sabato 14 giugno 2014

Scusate il ritardo


C'è una tristezza di fondo in "Scusate il ritardo", dalla prima all'ultima inquadratura. Come se il tentativo di fuga, ovvero di "ricominciare", che animava il protagonista del primo film del comico napoletano, fosse definitivamente fallito. Di qui forse il suo "ritardo" di cui si "scusa" nel titolo. Troisi ritorna a Napoli, nella sua casa, nella sua famiglia, tra i suoi amici di sempre, ritrovandovi solo protezione e conforto ma nessuna felicità, nessuno scatto vitale. Partirà forse la sua compagna, stanca della sua incomprensibile, infantile malinconia, mentre lui resterà lì dove è nato e vissuto. Il suo aspettare sempre l'amore di lei, nell'incapacità di dare una espressione, una forma che non sia puramente fisica, gestuale ai suoi sentimenti è fondo quel "ritardo" cui allude il titolo del film. I suoi sublimi tempi comici sono scanditi da questo "ritardo" che rende tutti i suoi dialoghi con gli altri personaggi dei surreali monologhi, in cui proprio l'impaccio, il blocco della parola come della stessa recitazione sembrano liberare la gestualità. Così proprio quando Troisi esprime al massimo della sua tensione il bisogno di comunicare e perfino di amare, la sua apertura agli altri si esprime in una paradossale chiusura e perfino in un'apparente stanchezza o indolenza. Il suo stesso corpo così statico, cosi impedito e dolente, pur nella sua incessante, nervosa espressività, sembra caratterizzarsi per una cronica inadeguatezza alla fatica e alla disciplina del lavoro, come se la sua condizione sociale di permanente disoccupazione permanente si fosse mutata mutata in una interna, costitutiva incapacità del corpo ad ogni suo impiego utile e produttivo, in una sorta di costitutiva, ontologica "disoccupazione" del corpo. Se non crede più nella "Madonna che piange" e nei suoi miracoli, non per ciò aderisce al "valore" del "lavoro", all'idea della sua capacità di cambiare veramente la vita, di liberare il corpo e scioglierne i desideri. Se il protagonista di "Ricomincio da tre" lasciava Napoli non per "emigrare" ma per "viaggiare", quello di "Scusate il ritardo" ritorna nella sua Napoli per recitarvi la parte più classica e tradizionale del "disoccupato" napoletano. Ma è soltanto attraverso  lo sguardo e la visione della macchina da presa che Troisi riprende e ferma questa condizione "sociale" in tutta la sua realtà presente, insieme fissandola ed elevandola a "destino" della "napoletanità". Perciò egli non può che riprendere se stesso, imprigionato dentro inquadrature strettissime, quasi claustrofobiche: il suo corpo vive infatti solo dentro i contorni dell'inquadratura che lo chiude e lo isola, unica materia del cinema, unico possibile oggetto del suo sguardo.

Salvatore Tinè.

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