venerdì 9 ottobre 2015
Alice nel paese delle meraviglie.
All'Argentina per "Eyes wide shut". Dopo tanti anni rivedo il film di Kubrick. Una sequenza in particolare mi colpisce: quella in cui Bill piange tra le braccia di Alice, per la prima volta senza la "maschera" che l'ha diviso dalla moglie, di nuovo "nudo" dinanzi a lei nuda come nella prima scena del film, ma questa volta anche nell'anima e non solo nel corpo. Difficile dire se è un pianto liberatorio o soltanto disperato. Ma la carezza quasi materna di Alice e l' amore tenero e triste per il marito che sembra esprimere sono un grande momento di cinema e anche di poesia, in un film pure così "perturbante" e a tratti perfino terribile. Finalmente fuori dall'incubo del suo "paese delle meraviglie", l'Alice di Kubrick conserva ancora qualche tratto "salvifico" della Eleonora beethoveniana del "Fidelio", sebbene non sia stata lei ma un'altra donna già morta a trar fuori il marito dall'incubo da quale ha rischiato di non uscire più. Così, anche se per per vie tortuose e traverse, anche qui, l'amore coniugale finisce per trionfare come nel finale dell'unica opera lirica di Beethoven "Ti voglio bene" dice Alice a Bill, quando lei come lui sono finalmente "svegli, usciti, forse perfino indenni, dal "doppio sogno" che li ha divisi. "C'è una sola cosa che dobbiamo fare, subito: scopare" dice Alice nell'ultima battuta del film. Dunque solo da svegli ci si ama; solo da sposati "si scopa".
Salvatore Tinè
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