lunedì 28 marzo 2016

Paisà


Vado a letto alle 4 del mattino per rivedere per intero e nella versione restaturata "Paisà" di Roberto Rossellini. Il film mi appare come un'opera epica. I vari episodi, solo apparentemente autonomi e come slegati fra loro, non raccontano vicende individuali o sentimentali, ma la realtà collettiva un popolo, di una nazione, colta tuttavia nel convulso movimento della storia, in un suo momento tragico ma proprio per questo decisivo, carico di futuro e di speranza. I personaggi, sempre rappresentati nella loro epica oggettività, sempre "tipi", si direbbe, e mai individui, ci appaiono totalmente immersi nella corrente della storia, nell'inferno della guerra. Ma è la forza del popolo, la sua prorompente vitalità collettiva, la sua superiore dignità morale che, tuttavia, si impone in ogni immagine. Non v’è dubbio che l’ideologia dell’autore sia populista. Ma tale ideologia è tutta risolta nella immediata, impressionante verità delle immagini. Il film risale la penisola dalla coste della Sicilia fino al delta del Po. Ma è la risalita civile e morale dell'Italia che ci racconta: nell'inferno della guerra totale, è il paese che risale, che resiste e risorge, nella regioni liberate dagli anglo-americani come in quelle dove combattono i partigiani. Come nessun altro film, forse, "Paisà" ha saputo raccontare il carattere popolare della Resistenza. I partigiani che come veri soldati combattono eroicamente sulle rive del Po sono popolo come il bambino napoletano che scalzo, smarrito tra i vicoli e le piazze di una Napoli ridotta a un enorme cumulo di macerie, ruba le scarpe al poliziotto americano. Nessuna differenza sembra darsi più tra la realtà e la sua rappresentazione. L'occhio di Rossellini non "vede" la realtà dall’esterno ma è come gettato in essa, finendo così per gettare anche noi spettatori dentro il suo ritmo serrato incessante, senza soste. Il movimento delle sequenze, delle inquadrature non ci lascia mai, neanche un istante e perfino nella sosta apparente dell'episodio del convento la guerra continua, continuiamo a sentirla, fuori da quelle mura rassicuranti. "Si può trovare la pace senza isolarsi dal mondo" dice uno dei cappellani militari americani che trova rifugia in quell'oasi di pace. Non a caso il film non finisce con la fine della guerra e l'ultima immagine, quella dei partigiani annegati nelle acque del Po, è la più terribile. Ma nella sua aspra secchezza essa non ci suggerisce un’impotente etica del sacrificio, ma all’opposto la forza del popolo, anche quando, come nell’ultimo episodio, questa forza sembra incarnarsi e vivere soltanto nei partigiani e nel loro momentaneo soccombere. La lotta e il combattimento degli uomini scandiscono il ritmo della storia, ma ne rivelano anche il cammino e la verità morale.

 Salvatore Tinè

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