mercoledì 22 ottobre 2014

L'intellettuale collettivo.


"Coltiva nell'augusta solitudine la mente", dice in un suo verso, di Gramsci in carcere, Giovanni Giudici. Eppure in quella "solitudine", Gramsci teorizzerà nientemeno che l'"intellettuale collettivo", ovvero si direbbe, una "mente" non più "solitaria", "individuale", ma, appunto, "generale", "collettiva". Pensare da "soli" e tuttavia sentendosi e insieme pensandosi parte perfino nel chiuso di una cella, di quello che Marx definì una volta in inglese "General Intellect": è questo il nucleo teorico dei "Quaderni" carcerari. Non dunque il "pessimismo d'intelligenza" leopardianamente complementare ad una "volontà protesa quando muore" cui in un altro verso allude Giudici, ma semmai la potenza della "mente" e quindi della stessa "volontà" nel farsi entrambe e insieme "collettive", spinoziani "attributi" di un unico "organismo" o soggetto politico non più miticamente incarnato in un individuo o persona come il Principe machiavelliano, ma in un "moderno Principe" tale perchè "collettivo".

Salvatore Tinè

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