lunedì 10 ottobre 2016

I sogni sono sogni.


La moglie del protagonista di "Cafè society" sogna di essere tradita dal marito e chiede a quest'ultimo se le sia stato sempre fedele. "I sogni sono sogni" risponde il marito. Dunque, come in "Eyes wide shut" di Kubrick, sembrerebbe che anche nel film di Woody Allen, tradire la moglie o il marito è sempre un sogno o il suo ricordo. Non a caso "Café society" è ambientato nella Hollywood degli anni '30, ovvero in quella straordinaria fabbrica di sogni che fu il cinema americano nel decennio più tragico del secolo breve. Ma si tratta di una fabbrica che, come intuiva Gramsci, nel carcere, scrivendo "Americanismo e fordismo", stimola e produce i desideri nel momento stesso in cui li nega. E storia di un desiderio represso e negato è la storia d'amore del protagonista ebreo per l'amante dello zio, agente di Hollywood, parodia divertente di quel conflitto tra padre e figlio così tanto studiato dall'ebreo Freud. Ma  la "Traumdeutung" di Allen non ha niente del tragico che connota quella del fondatore della psicanalisi.  Nel suo giovanissimo alter ego protagonista del film, una spiccata inclinazione quasi "poetica" al desiderio e all'evasione dalla realtà è quasi solo l'altra faccia della sua capacità di rassegnazione non priva di un certo spirito pratico americano. Un tratto della "duplicità" "ebraica" del personaggio che in un certo modo lo accomuna alla figura del fratello gangster, il quale poco prima della morte sulla sedia elettrica si convertirà al cristianesimo per giungere prima alla salvezza. Il lento inavvertito scorrere del racconto, l'incantevole e insieme inesorabile passare del tempo che lo scandisce appiana e risolve ogni contrasto, scioglie ogni dialettica, come se il racconto della vita volgesse quest'ultima in un lungo, piacevole ricordo. E così il sogno, come nella splendida dissolvenza incrociata dell'ultima sequenza, ci appare solo come il lento dolcissimo dissolversi nel ricordo di un attimo mancato. Hollywood è la metafora allora del tempo, più ancora che del cinema: arte non della immagine e della realtà che vi si rifletterebbe ma piuttosto della sua dissolvenza, della sua mancanza. L'amplesso mancato con la prostituta nella scena più comica del film ne racchiude in questo senso il nucleo più profondo e inquietante, che tuttavia resta nascosto, dissimulato nella incantevole poesia che ne avvolge ogni immagine.

Salvatore Tinè

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