lunedì 14 aprile 2014
Il riso
In un passo del suo saggio su "Il riso" Bergson distingue tra un "automatismo rigido" ed un "automatismo elastico": il riso sarebbe una espressione dell'"automatismo rigido", ovvero incapace di adeguarsi a quello "elastico" su cui si basano la vita e la società. Evidentemente la vita per il filosofo francese sta dalla parte della società, vivere veramente significando adeguarsi ad essa, al suo automatismo supposto "buono", quello che....non fa ridere. Mi viene fatto di pensare all'immortale sequenza di Charlie Chaplin in "Tempi moderni" in cui vediamo l'attore inglese trasformatosi in operaio, cercare di adeguarsi all'"automatismo" della fabbrica fordista, finendo così per trasformarsi egli stesso in "automa". Mi chiedo da che parte starebbe la vita, secondo Bergson: dal lato della catena di montaggio o da quello dell'operaio Chaplin? Si direbbe che ci sia molta più "vita" nell'automa Chaplin, nel movimento estraniato e a scatti del suo piccolo corpo che nella fabbrica che pure lo ha svuotato. Il suo "automatismo" è infatti è molto più" vitale" ed "elastico" della "società" che lo ha prodotto, rappresentata dall'allucinata, onirica fantasia chapliniana come una gigantesca e mostruosa macchina semovente. Eppure esso ci fa ridere. Si potrebbe definire l'opera di Chaplin allo stesso modo in cui Benjamin ha definito una volta il mondo di Kafka, ovvero come un "codice di gesti". Il loro apparente automatismo ci dice certamente del grado spaventoso di reificazione cui il mondo moderno ha costretto l'agire degli uomini, privandolo di ogni chiaro significato E tuttavia è proprio attraverso questo incomprensibile, comicissimo codice gestuale che Chaplin si "salva" sempre dal gigantesco" meccanismo", quello dell'intera organizzazione sociale e non solo della fabbrica che vorrebbe inghiottirlo, nel quale pure finisce sempre per cadere. Non la parola ma la pura meccanicità del suo gesto, miracolosamente lo libera. In questo senso, solo il cinema muto è comico. Solo attraverso esso Chaplin riesce a salvare se stesso, la sua vita ridotta a quella del suo corpo, alla rigidità della catena di montaggio contrapponendo quella del suo muto codice di gesti. Si sa che secondo una celebre battuta, il giovane Lukacs sarebbe entrato dentro la fabbrica capitalistica con in mano "il Saggio sui dati immediati della coscienza" di Bergson: proprio dentro le sue mura, il filosofo francese gli avrebbe così consentito di scoprire il proletariato come soggetto-oggetto identico della storia, ovvero come la classe in grado di rovesciare l'oggettivo nel soggettivo, la necessità nella libertà. Pensando a Chaplin, mi viene fatto di osservare che si potrebbe entrare in quella fordista-chapliniana con in mano il bergsoniano saggio su "Il riso" per scoprirvi un altro "rovesciamento", quello, comico, della schiavitù meccanica dell'operaio salariato nella libertà vuota ma pura dell'attore-mimo.
Salvatore Tinè
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