venerdì 11 aprile 2014

Roma città aperta


La stretta di mano tra Don Pietro e il partigiano comunista, l'ingegnere Manfredi in una sequenza di "Roma città aperta" fa capire del "compromesso storico" pure ancora di là da venire molto più che tanti e libri e saggi su Moro e Berlinguer. Deve essere stato Sergio Amidei, intellettuale comunista, ad ispirare i dialoghi dove più chiara e netta emerge la preoccupazione di giustificare ed esaltare in chiave nazionale la "svolta di Salerno" e la conseguente alleanza con Badoglio e la monarchia. "Quanto potrà durare, a liberazione avvenuta, l'alleanza tra voi e i generali badogliani?" chiede maliziosamente Bergmann al partigiano comunista ormai quasi esanime per le terribile torture subite, nell'inutile tentativo di spingerlo a "parlare". L'arco delle forze antifasciste viene mostrato nel film in tutta la sua ampiezza, nella scena in cui Bergmann sfoglia i giornali clandestini, dall'Unità a "Risorgimento liberale". Ma la forza straordinaria dell'arte rosselliniana è nella capacità di mostrare il conflitto in atto dentro la dura, quotidiana vita del "popolo" romano. Si pensi alla sequenza dell'assalto ai forni, che con una evidenza degna del più grande Ejzenstejn ci mostra il nesso che lega la lotta per il pane a quella per la libertà. E' nel "mare" del popolo che come pesci nell'acqua si muovono i cospiratori comunisti, i quadri "intellettuali" della Resistenza. A differenza del "Risorgimento liberale", certo non a caso evocato nel film, la Resistenza, pur ricollegandosi ad esso, è stato un movimento di popolo, fondato sull'alleanza tra i "semplici" e gli intellettuali. Rossellini lo dice esplicitamente in un importante dialogo tra il tipografo che ospita nella sua casa "l'intellettuale" Manfredi e la ragazza-madre che avrebbe dovuto sposare l'indomani e che invece proprio il giorno destinato al suo matrimonio morirà vittima di un'assurda violenza: tra le semplici parole con cui l'uomo cerca di spiegare alla sua compagna il senso della lotta che lo vede affianco al quadro politico nascosto nella loro casa, spiccano non a caso quelle che evocano "un mondo migliore". Eppure, è Don Pietro ad emergere nel film come il protagonista assoluto, ovvero come la figura di "intellettuale" più radicato nelle masse popolari, più in grado di avvertirne bisogni ed esigenze profonde. E' attraverso lui che nell'opera di Rossellini emergono più nettamente i tratti cattolici della sua ideologia populista. Così se il  personaggio del tipografo ha il suo "pendant" intellettuale nel partigiano ateo e comunista, la sua compagna che è riuscita a imporre al promesso sposo il matrimonio in chiesa, lo trova proprio in Don Pietro, suo confessore. Nella terribile scena che vede il sacerdote cattolico costretto ad assistere impotente al terribile spettacolo della tortura del partigiano comunista, la sua immagine ferma insieme e tragicamente dolente sembra voler testimoniare la "verità" del Cristianesimo come religione dei "semplici" di fronte al corrotto "paganesimo" nazista di Bergmann sottolineato da Rossellini perfino con accenti caricaturali. La sua "pietas" cattolica, così orgogliosamente rivendicata in faccia ai sadici torturatori nazisti si spinge fino alla protezione dei disertori e tuttavia il personaggio che viene fuori nel film è quello di un prete la cui profonda quanto semplice umanità si alimenta di uno spirito di combattente, di un pathos di militante. E i bambini del suo oratorio, protagonisti in una grande scena di un eroico attentato, che vediamo assistere composti alla sua esecuzione e poi sflilare mesti sotto un grigio cielo romano nel superbo finale, sono forse la più straordinaria sebbene poeticamente tragica immagine di quel "mondo migliore" per cui si lottava in quelle aspre giornate.

Salvatore Tinè

Nessun commento:

Posta un commento