martedì 2 settembre 2014

Leopardi italiano.




Nell'autunno del 2013, mio fratello Peppe mi informava che Mario Martone stava girando un film su Leopardi. Molto contento della notizia e ricordando di avere cominciato a capire Leopardi molto tardi, molti anni dopo la scuola, in odio alla falsa immagine crociana del ragazzo "dalla vita strozzata", scrissi subito questo appunto, che mi piace riportare adesso, mentre il film è già a Venezia: "Apprendo da Peppe che Mario Martone sta girando un film su Leopardi. Mi piace immaginare il film come una ideale continuazione del suo "Noi credevamo" in cui il regista napoletano raccontava insieme il sogno mazziniano di un paese libero e democratico e il suo tragico infrangersi nell'eterna Italia "gretta e assassina", di ieri e di oggi. Una "illusione" leopardiana, dunque, forse, quel sogno. Ma di cosa è fatta la politica, quella "vera", si intende, se non di "illusioni". "Illusioni" senza le quali nessun agire, nessuna politica sarebbe possibile. Il più "anti-italiano", non meno dell'"apostolo" Mazzini, tra i nostri poeti, Leopardi, ma forse anche il più "politico" e forse perfino il più "risorgimentale", in senso vero, autentico, non retorico." In tal senso Leopardi può considerarsi come uno dei rappresentanti di quella generazione di giovani raccontati da Martone nel suo film proprio 150 anni dopo l'unità d'Italia che hanno "creduto". Poco fa a casa di Francesca e Alessandro parliamo del nuovo film del regista napoletano. Alessandro cita una frase di Francesco De Sanctis: " se fosse vissuto più a lungo senti che te lo saresti ritrovato a fianco sulle barricate nel '48". La sua citazione mi riporta ad una grande pagina del critico irpino che genialmente coglie l'ardente patriottismo, la passione militante celati nel più profondo della "tristezza" leopardiana e perciò tanto più intense e intimamente sofferte: "Perchè Leopardi produce l'effetto contrario a quello che si propone. Non crede al progresso e te lo fa desiderare. Non crede alla libertà e te la fa amare. Chiama illusioni l'amore, la gloria, la virtù e te e te ne accende in petto un desiderio inesausto. E non puoi lasciarlo che non ti senta migliore; e non puoi accostargli che non cerchi innanzi di raccoglierti e di purificarti, perchè non abbi ad arrossire al suo cospetto. E' scettico e ti fa credere, e mentre non crede possibile un avvenire men tristo per la patria comune, ti desta in seno un vivo amore per quella e t'infiamma a nobili fatti". Gramscianamente, potrebbe forse dirsi, sulla scorta di questa pagina, che in Leopardi al "pessimismo dell'intelligenza", quello che i nostri maestri e professori definivano addirittura "cosmico" oltre che "storico" si affianchi un non meno intenso "ottimismo della volontà". E tuttavia il momento "ottimista" e quello "pessimista" non vanno contrapposti, schematicamente. Il "pessimismo" di Leopardi è il suo stesso "materialismo", la consapevolezza cioè, forse spinoziana, che l'uomo è finito, in quanto parte del mondo, della natura. "L'infinito non esiste" dice da qualche parte, nello Zibaldone, proprio lui, il poeta dell'infinito. Ma proprio perciò le "illusioni" sono "necessarie" ad un'azione che sia reale, effettiva, fondata sulla realtà viva dell'uomo non sulla sua mistificante trasfigurazione spiritualistica tipica di ogni religione, di ogni metafisica. Leopardi è il poeta materialista della vita, non del dolore e della morte, come troppo spesso nella "sua" e "nostra" Italia cattolica e oscurantista è stato rappresentato. Il suo amore per la vita invita tutti i giovani al lavoro e alla lotta.

Salvatore Tinè.

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