lunedì 1 settembre 2014

Enrico il Verde


Per trenta giorni, Enrico il Verde si getta nella lettura delle opere di Goethe, trovate nella casa della madre, non ancora comprate. Ma ci sono letture che ci cambiano, forse perfino in modo improvviso, facendoci amare finalmente noi stessi, il nostro essere al mondo, la vita e l'esistenza non intese in senso "egoistico" ma nel loro rapporto con le cose fuori di noi, con il mondo di cui siamo parte inevitabilmente, sebbene tutt'altro che passiva. Mi viene fatto di pensarlo leggendo questa pagina di Keller, in cui Goethe esplicitamente evocato sembra a sua volta implicitamente evocare Feuerbach e Spinoza, l'immanentismo radicale, "materialista", che sorreggeva il grande amore per la vita, per la "eternità" del mondo e della sua "bellezza", di quei due grandi, di contro ad ogni "idealismo", ad ogni sentimentale "romanticismo", ad ogni "malattia" dell''io": "Balzai in piedi, mi guardai attorno, e avrei creduto di essere in una tomba, se i ferri di calza di mia madre non avessero prodotto un rumore amico. Uscii all'aperto; la vecchia città montana, le rupi, il bosco, il fiume, il lago e le mille forme dei monti giacevano nella mite luce del sole di marzo; e mentre abbracciavo tutte queste cose con lo sguardo, provavo un piacere puro, persistente, mai conosciuto prima. Era l'amore devoto per tutto ciò che è divenuto e che esiste, l'amore che rispetta il diritto e l'importanza di ogni cosa e percepisce l'intima connessione del mondo. Quest'amore è qualcosa di più alto di ciò che induce l'artista a sottrarre al tutto un singolo elemento per uno scopo egoistico, il che porta da ultimo sempre alla meschinità e al capriccio; è più alto anche del godimento esclusivo procurato dalle predilezioni e dagli stati d'animo romantici; esso solo può destare l'ardore uniforme e duraturo. Ora tutto mi appariva sempre nuovo, bello, memorabile; cominciavo a vedere e amare non solo la forma, ma anche il contenuto, la sostanze la storia delle cose. Anche se non mi sono trovato a un tratto bell'e formata in me tale coscienza, essa di destò a poco a poco in quei trenta giorni di lettura..." Perciò il compito dell'artista è adesso per Enrico quello di guardare le cose, lasciandole passare, piuttosto che "cercare di inseguirle". Cogliere le cose, il mondo significa coglierne la "quiete" dietro il movimento, "la quiete che attira la vita". Ma questo "vedere" il mondo, il suo spettacolo è tutt'altro che un atteggiamento inerte o passivo ma significa, scrive Keller, "mantenere la libertà e la purezza del nostro sguardo". Sentirsi, cogliersi come parte del mondo: è questa la vera libertà. E' questo il grande insegnamento di Keller.

Salvatore Tiné

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