mercoledì 6 maggio 2015

Mann e l'infinito


Aschenbach che in "La morte a Venezia", seduto sulla spiaggia di fronte all'immensità del mare si volge improvvisamente dalla perfezione del nulla a quella della forma è uno dei grandi momenti della letteratura di tutti i tempi.
"Da profondi motivi nasceva il suo amore del mare: bisogno di riposo dopo il duro lavoro dell'artista che, dinanzi all'invadente multiformità delle apparenze, aspira a rifugiarsi in seno all'immensa semplicità; e nello stesso tempo una tendenza colpevole, affatto opposta al suo compito, e appunto perciò piena di seduzione, verso l'inarticolato, l'indeterminato, l'eterno: verso il nulla. Riposare nella perfezione è l'anelito di chi si affatica verso l'eccelso; e non è forse anche il nulla una forma di perfezione? Ma proprio mentre sprofondava nel vuoto di queste riflessioni, ecco tutto a un tratto, sull'orizzonte della sponda, stagliarsi una figura umana; e appena il suo sguardo si risollevò dall'infinito e riuscì a fissarsi, riconobbe il bel fanciullo".
Come non pensare a "L'infinito" di Leopardi? Ma nella pagina di Mann è un movimento inverso a quello che conduceva il poeta a naufragare sia pure solo col pensiero nell'immensità, nel mare dell'infinito. L'assoluto della forma, la sua visione che come una "rivelazione" si staglia dinanzi al suo sguardo distolgono Aschenbach da quell'impulso ad annullare la propria individualità di uomo e perciò di artista nella quiete del nulla cui solo un attimo prima sembrava soccombere. Così la creazione si volge in visione, in quella platonica della bellezza. "E un impulso paterno riempì e mosse il suo cuore, il tenero turbamento di chi si sacrifica in ispirito per creare il bello, verso chi la bellezza possiede". Non più culmine della creazione, del "lavoro dello spirito" la bellezza preesiste a chi la contempla. Aschenbach è in tal senso l'antitesi di Faust, l'eroe goethiano che abbandona la bellezza "senza spirito" di Margherita nella sua tensione verso l'infinito. Ma proprio il suo configurarsi solo nella visione la rende inattingibile a chi anela ad essa. La quiete della forma, della "perfezione" della "figura umana" non è meno "mortale" di quella del "nulla". E di essa Aschenbach morirà.

Salvatore Tinè.

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