venerdì 10 luglio 2015

Meraviglioso Boccaccio



All'Arena Corsaro per "Meraviglioso Boccaccio" dei Taviani. La "brigata" boccaccesca che fugge da Firenze e dalla peste, la villa in cui si rifugia mi hanno ricordato i carcerati di "Cesare deve morire", la loro unica fuga possibile, quella nell'arte, nella "messa in scena" di loro stessi, del loro dramma. Perciò la villa, pure immersa nei dolcissimi verdeggianti paesaggi toscani è come la prigione del film precedente il luogo da cui soltanto è possibile evadere, fuggire dalla "peste" del tempo, oltre che dal tempo della peste. Il passaggio dal film precedente a questo è allora quello dal dramma alla novella, dall'azione che si svolge dinanzi a noi, ogni volta ripetendosi sebbene sempre nuova e diversa commuovendoci e scuotendoci nel profondo al racconto dell'azione già svoltasi e una volta per sempre. Il cinema forse è dramma e novella insieme, azione e racconto di essa nello stesso momento, nel tempo e fuori del tempo. Ma qui il dramma non esplode mai in forme aperte ed evidenti. Nessuna carnalità, nessuna violenza del desiderio in questa rivisitazione di alcune novelle del "Decamerone". Niente della stessa violenza fisica, della fatale immediata identificazione tra realtà e dramma che come un pugno nello stomaco ci avevano colpiti nella messa in scena da parte dei carcerati dell'assassinio di Giulio Cesare di "Cesare deve morire". Qui è invece con un tocco di delicata, "casta" poesia che i Taviani raccontano alcune delle storie di Boccaccio.  Il racconto degli amori, dei desideri della carne e del corpo di uomini e donne si risolve tutto nelle tenue evidenza delle immagini, senza nessuna violenza fisica, come se tutto ormai di quelle storie fosse ormai risolto e come per sempre pacificato nel tranquillo abbandonato conversare dei giovani della brigata, mentre quanto di "melodrammatico" si nasconde in esse è soltanto evocato, suggerito dalle musiche di Verdi e di Puccini. Questo tempo sospeso è quello dell'arte. Ma esso non può durare per sempre. Così, allo stesso modo in cui i carcerati dovranno tornare, sebbene interiormente mutati, nella realtà delle loro celle, tremenda come la peste di Firenze, così i giovani decideranno, dopo una pioggia purificatrice, di por termine al "raccontare" che li ha salvati, nella loro Firenze.

Salvatore Tinè

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