giovedì 9 luglio 2015

Verga e la musica.


Proprio mentre leggo le grandi pagine del "Doktor Faustus" sul rovesciarsi della soggettività nell'oggettività, sul loro totale identificarsi nella politica come nell'arte, Peppe mi sottopone un brano di Arturo Pompeati sulla poesia di Giovanni Verga che delle affermazioni di Leverkuhn è forse una esemplificazione: "Poesia quasi incapace di abbandonarsi, tutta suscitata nel profondo, dono di un mondo segreto da interrogare senza violarne la purezza antica e la nobiltà. Pietà contenuta, intenzionalmente per uno scrupolo di impersonalità, ma effettivamente per un rispetto involontario che trattiene l'autore dinanzi ad una realtà così lontana dalle sue esperienze di uomo, e insieme così vicine alle sue simpatie ideali. A questa contenutezza risponde anche la prosa, originalissima, del romanzo. Una prosa che procede per brevi costrutti allacciati empiricamente da 'e' e da 'che', quasi per tentativi di aggirare la materia e includerla in un discorso continuo. In verità da questo procedimento e dal tono dialettale dell'espressione risulta un andamento ritmico che acquista via via un valore sinfonico regolato da una coerenza assoluta, che solo ha il difetto di una innegabile monotonia. Si pena che so a certi prolissi sviluppi di Schubert, benché nel Verga a differenza dell'autore dell'' incompiuta' la prolissità non si avverta mai, e l'uniformità sia interamente negli effetti verbali e fraseologici." Per Leverkuhn solo nella musica si dava l'identità assoluta tra soggettività e oggettività. Verga attinge tale identità nella letteratura, rovesciando l'impersonalità naturalistica nell'oggettività di una sinfonia letteraria, sia pure tutta risolta nel ritmo e nella cadenza, apparentemente monotona, sempre eguale, di rotti frammenti, così risolvendo l'oggettività della realtà nella sua musica. "Scrittore di cose" e non di parole ebbe a definirlo una volta, Pirandello. Ma anche la sua "musica" è fatta di "cose", come forse sempre la vera musica.

Salvatore Tinè

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