sabato 9 gennaio 2016

Chiedi a Lui


"Sottomissione e riconoscimento" è il titolo di una splendida poesia di Giudici. E' un dialogo con lei ma anche con lui, con Dio. Il poeta ha messo ora lei al posto di lui, sostituendo la "vita" alle cartesiane "cogitationes" che lo hanno fino a quel momento assorbito. Il passaggio da Lui a Lei è pur sempre uno scambio di "persona", per il quale tuttavia è la propria "persona" ad essere scambiata. E' lo stesso senso di colpa che lo porta ora a confessare a lei il suo permanente desiderio di "servitù" e la donna appare non meno di "Dio" senza misura, inattingibile e perfino invisibile anche quando viene toccata, afferrata con le mani, come se il suo corpo nonostante il suo apparente "esserci", non fosse conoscibile e godibile che a pezzi mai nel suo intero, nella sua totalità, a qualsivoglia "immagine" finita irriducibile. "Cerco di rivoltarti /Stringerti - ma cosa chiedo/ Ai tuoi occhi/Un te stessa invisibile benché/Ti tocco pezzo a pezzo mi ripeto 'sei qui'/ Ti misuro nel chiuso delle mie mani" Eppure, a dispetto di tale clamorosa diseguaglianza, asimmettria dei sessi non meno incolmabile di quella che separa l'uomo dalla persona divina, un'ansia di rispecchiamento, di riconoscimento nella donna tanto amata quanto "sconosciuta", segna il rapporto con lei, come la chiusa della poesia ci rivela. "Dov'era lui- ci sei tu." Ma è difficile non pensare che il "lui" non sia più Dio ma piuttosto lo stesso Giudici, il suo stesso "io", il suo cartesiano "essere certo" di sé. Dove c'è Lei-insomma- ( "vita del nostro morire") non ci siamo più noi.
Salvatore Tinè

SOTTOMISSIONE E RICONOSCIMENTO
Cerco di ridurti
A mia immagine - ma fossi
Tu la pace che è il tuo corpo
Quando 'fammi il mare' ti supplico
Sotto o sopra la pancia - non si sa bene chi dei due
E' acqua o barca
Cerco di rivoltarti
Stringerti - ma cosa chiedo
Ai tuoi occhi
Un te stessa invisibile benché
Ti tocco pezzo a pezzo mi ripeto 'sei qui'
Ti misuro nel chiuso delle mie mani
Cerco di fermarti
Nel caso che 'è così bello' sospiri
E ti vorresti poi mordere la lingua
Di troppa tenerezza -
O sul prato di Vienna il singhiozzante
Tuo inciampare di fiamminga
E ore e ore battere
Le tue peregrinazioni - parlare
Tuoi pensieri - a un immaginario telefono di legno
Un tuo segno sperare - nel mio
Essere certo imprigionarti
Sconosciuta come Dio
Quando ti dico- vita
Del mio morire
Un tempo era lui che assorbiva tutte le mie cogitazioni
La sua camminata misurava ogni passo della mia
E per questo nessuno o nessun'altra poteva
Abitare nel cuore che per lui solo batteva
Il che potrebbe spiegarsi con un mio antico bisogno
Di colpa di confessione e di servitù
Esso rimane e passano persone sulla scena
Dov'era- ci sei tu
(G. Giudici, "Il male dei creditori")

2 commenti:

  1. Dunque la "Lei" è, più che una "donna", la "Donna-Morte" o la Morte più semplicemente.
    Essa è questione d'attimi (al verso 14 "è così bello", riferito al "caso", è forse una citazione di Faust, Prima Parte: "Werd ich zum Augenblicke sagen..."), e del resto la chiusa che citavi nella tua analisi è un ricordo del passo di Epicuro sulla Morte.
    Se la Morte-Donna si sostituisce a Lui-Dio, è perché la sua "attingibilità" diventa in ogni caso una necessità cui confrontarsi materialmente di contro al pensiero immateriale di Dio; non credi?

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