25 novembre 2013
Ripenso ad alcuni momenti della discussione su Majakovskij nel corso della bella serata che il Circolo Olga Benario ha dedicato al grande poeta sovietico. Io stesso ho richiamato la formula con la quale, polemicamente, Trockij in un fondamentale libro del 1923, intitolato "Letteratura e rivoluzione", definisce la poesia di Majakovskij: "individualismo rivoluzionario". Mi sono tuttavia sforzato di dare un senso positivo alla geniale definizione trockjiana, citando alcuni versi della poesia che si intitola "Vladimir Il'ic", significativamente quelli che la aprono e quelli che la chiudono. "So bene /che non sono gli eroi / a eruttare la lava delle rivoluzioni./ La favola degli eroi / è una scemenza da intellettuali./ Ma chi / riuscirà / a non celebrare / la gloria del nostro Il'ic?". Impossibile non pensare a Brecht: "beati i popoli che non avranno bisogno di eroi". Un verso che amava citare mio padre e che è rimasto sempre bene inciso nella mia memoria e nella mia mente. Ma si potrebbe anche dire, parafrasandolo: "beati i popoli che non hanno bisogno di poeti". Ma, allora, perchè Majakovskij sente l'esigenza e in modo così irrefrenabile di scrivere una poesia che addirittura "glorifica" Lenin, quando questi peraltro è ancora in vita e nel pieno delle sue forze, della sua energia? E in che misura tale poetica glorificazione può essere considerata un superamento di quei limiti di "individualismo rivoluzionario" che Trockij giudicava connaturati alla poesia di Majakovskij, definita "majakomorfa", ovvero spasmodicamente tesa ad assimilare alla propria individualità le gigantesche forze del mondo e della storia? Forse il senso dei versi citati non può essere colto se non alla luce di quelli finali: "E qui non si tratta/ di far vento all'intimità del festeggiato /con un ventaglio di versi. / Io/ in Lenin / esalto /la fede del mondo / e la mia. / E non potrei esser poeta / se non /cantassi questo: /in stelle a cinque punte il cielo / dell'immensa volta del partito comunista russo." Anche cantando Lenin, dunque, il poeta continua a cantare se stesso: la fede in Lenin è infatti non soltanto quella del mondo ma anche la sua, quella più profonda e più profondamente ma anche perciò anche più "tragicamente" sofferta e vissuta. E tuttavia la poesia non vuole "far vento" all'"intimità del festeggiato" e meno che mai, aggiungiamo noi, all'"intimità" del poeta, il quale di se stesso canta la propria "fede" e non più la sua "intimità", la quale si è come dissolta nella più grande e più vera realtà del mondo e della storia. "Il bolscevismo - ha detto Walter Benjamin, una volta - ha abolito la vita privata." In questo senso la poesia del bolscevico Majakovskij ha "abolito" la "vita privata" del poeta e tuttavia non la poesia. Non sarà un caso allora che Stalin deciderà, probabilmente superando il geniale ma riduttivo giudizio di Trockij, di fare proprio di Majakovskij il poeta "ufficiale" del primo Stato proletario della storia.
Salvatore Tinè
Salvatore Tinè
Nessun commento:
Posta un commento