domenica 29 dicembre 2013

Non ci vedremo più ma è stato bello


"Ineluttabile modalità del visibile: se non altro questo, il pensiero attraverso gli occhi": è il celebre inizio del terzo episodio della "Telemachia" joyciana. La realtà, dunque, è ciò che percepiamo attraverso i nostri occhi, l'essere è solo ciò che si offre al nostro sguardo, tutt'uno con il nostro pensiero. Eppure la mera "visibilità" del reale non sembra esaurirlo. Di qui la tensione di Stephen, sulla spiaggia di Sandimounth a cogliere le "cose", di là dai loro "colori", la sua ansia di uscire da se stesso per "toccare" la realtà fuori dal pensiero, la realtà della vita. "Chiudi gli occhi e vedi": bisogna non vedere per vedere veramente la realtà. "Stephen chiuse gli occhi per udir le proprie scarpe schiacciar alghe e conchiglie. Come che sia, ci cammini attraverso." Ecco questo "camminare attraverso" la realtà significa volerla cogliere ma anche nello stesso tempo, entrare dentro di essa, farne parte, superare la sua apparente durezza e impenetrabilità, senza tuttavia ridurla ancora una volta al nostro pensiero, o alla nostra percezione sensibile di essa. Ma perfino l'urto con la durezza delle cose potrebbe essere solo una mera percezione e non la prova della loro consistenza ontologica. Da un lato Stephen vuole essere certo, rassicurarsi dell'effettiva esistenza della realtà, dall'altro è proprio questa esistenza che teme. Quando riaprirà gli occhi la visione di essa sembra sgomentarlo insieme con il pensiero dell'eternità del mondo, della sua assoluta autonomia e opaca indifferenza. 

"Adesso apro gli occhi. Li apro. Aspetta un momento. E se fosse scomparso tutto? Se aprissi gli occhi e fossi per sempre nel nero adiafano? Basta! Vediamo cosa riesco a vedere. Vedi ora. Tutto rimasto com'era senza di te: e così sarà sempre, mondo senza fine."

Dunque, l'esistenza del mondo sgomenta non meno della sua non esistenza. A Stephen, novello Amleto, l'essere non appare meno "terribile" del non-essere. La realtà eterna del mondo, la sua "esternità" rispetto al nostro sguardo e alla nostra percezione umana di esso, pone infatti il problema del suo "senso" e insieme ad esso quello del significato del tempo, ovvero dell'essere di ciò che "sarà sempre". Non a caso sarà proprio questo problema a ritornare nell'episodio del romanzo che vedrà Bloom sulla stessa spiaggia di Sandymount. Certo su quella spiaggia assistiamo adesso ad un apparente incontro "erotico" sebbene a "distanza", di Leopold con la giovanissima Gerty Mc Dowell, consumatosi proprio mentre si consuma il tradimento della moglie di Bloom: un tradimento che avviene solo "nel pensiero" accade nello stesso tempo di un altro, "vero". Eppure Leopold non è meno "solo" di Stephen: la profondità e tristezza della sua solitudine è del resto fortemente sottolineata dallo stesso atto autoerotico in cui "culminerà" il suo incontro, tanto "fisico" quando casuale ed effimero. Si direbbe che anche quello di Leopold è un pensiero "attraverso gli occhi", gli occhi che guardano ma anche "sognano" una ragazza appena sbocciata e che solo alla fine dell'"incontro" con lei si rivelerà zoppa. Ancora una volta la mediazione dei sensi si pone come un legame e insieme una barriera tra noi e il mondo, la sua realtà, il suo senso. L'erotismo solitario di Bloom e il suo senso di stanchezza e sfinimento fisico rivelano analogie profonde e misteriose con la solitudine e l'"onanismo" intellettuali del poeta Stephen. Se la spiaggia di Sandymount finiva per apparire a quest'ultimo l'immagine stessa della della eternità e perciò della impenetrabile estraneità del mondo, lo stesso luogo si presenta a Bloom, una volta consumatosi il suo incontro con la ragazza più giovane e che l'ha fatto sentire più giovane, come la metafora visiva del caos cosmico, del perenne insensato trapassare e consumarsi di tutte le cose, di là dall'inganno e dal piacere dei sensi che le avvolge e trasfigura. Se Stephen riapriva gli occhi per ritrovarvi il mondo come era prima, eterno, Bloom risvegliatosi dall'incanto erotico ritrova un universo esploso e frantumato, dominato dall'eternità del caos, dove più niente "cresce" ma "tutto si cancella", parole e scrittura comprese. Non a caso Bloom vive la vita e il suo mero fluire, mentre Stephen vuole fermare quel fluire, coglierne "per sempre" l'eternità proprio attraverso la scrittura, finendo per sostituire quest'ultima alla vita stessa. "Non ci vedremo più ma è stato bello" pensa Bloom, pensando a quella ragazza.
"Oh, quella femmina m'ha sfinito. Non son più così giovane. Che torni qui domani? Aspettarla da qualche parte per sempre. Deve tornare. Gli assassini lo fanno e io? Mr Bloom col suo pezzo di stecco pasticciò piano piano nella sabbia ai suoi piedi. Scriverle un messaggio. Potrebbe restare. Ma cosa
IO...Qualche piedipiatti lo pesterà di prima mattina. Inutile. Cancellato dalle onde. La marea arriva fin qui. Ho visto una pozzanghera vicino al suo piede. Chinarmi, vederci il mio volto, specchio scuro, con un soffio s'increspa. Tutte queste rocce con linee impronte e lettere. Oh, quelle sue trasparenti. Del resto, non si rendono conto. Qual è il senso di quell'altro mondo. Ti ho chiamato cattivone perché non mi piace.
SONO. UN.
Non c'è spazio. Lasciamo perdere.
Mr Bloom cancellò la lettera con lenta mossa del calcagno. Sabbia si cancella subito. Niente ci cresce. Tutto si cancella. Non c'è pericolo che arrivino qui potenti navi. Tranne i barconi della Guiness. Fanno il giro di Kish in ottanta giorni. Quasi fatto apposta.
Buttò via il pezzo di stecco usato come penna, che si piantò dritto nella sabbia limosa. Se avessi tentato di farlo per una settimana, non ci sarei riuscito. Il caso. Non ci vedremo più ma è stato bello. Addio, mia cara. Grazie. Mi hai fatto sentir così giovane".

Salvatore Tinè

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