venerdì 17 gennaio 2014

Capitale umano


"Il capitale umano" di Paolo Virzì è un film interessante, sicuramente il più importante e impegnato del regista toscano. E' una commedia feroce e a tratti perfino crudele che tuttavia ad un certo punto si volge apertamente in tragedia. E' ambientato in Italia, in un immaginario, gelido paesino della Brianza, ma non vuole essere l'ennesimo film sull'Italietta cinica e corrotta. Non a caso è tratto da un romanzo di uno scrittore americano ambientato negli Stati Uniti. La Brianza, la sua economia, la sua società appaiono nel film tutt'altro che delle realtà provinciali o locali. L'umanità che Virzì ci racconta, quella "borghese" delle famiglie appartenenti alle classi ricche come quella propria del ceto medio impoverito e impaurito dalla crisi è il vero "capitale umano" cui ci rimanda il titolo del film. E quella tra "borghesia" e "ceto medio" è l'unica dialettica sociale di cui il film parla: il cameriere che vediamo morire investito da un suv in una strada di perifieria nella prima scena del film è l'unica figura "proletaria" che ci sarà dato vedere nel film, non a caso solo appena visibile e subito scomparsa come pura "vittima". Si uccide solo per caso, così come si muore solo per l'indifferenza degli altri, in una società in cui la violenza si fa tanto più atroce quanto meno apparentemente "tragica" e "visibile". E cosa è il mercato se non il regno della violenza invisibile, nascosta dietro un'economia sempre più astratta e virtuale, che ci appare soltanto come un "gioco": un gioco metaforizzato proprio dalle partite di tennis in cui un magnate locale e il piccolo, buffonesco immobiliarista brianzolo finiranno per diventare soci in affari e falsamente amici, scommettendo proprio sulla crisi e la rovina degli altri. I morti sulla strada di un gioco pericoloso quanto insensato anche quando si svolge nel rispetto delle regole e della leggi, restano così ai margini, invisibili, non visti. Nessuna consolatoria dialettica "generazionale", ovvero nessun conflitto tra padri e figli sembra scandire la vicenda del film: in realtà la figlia dell'immobiliarista fraudolento e il figlio del magnate della finanza, solo apparenti "fidanzati", non sono per niente "migliori" dei loro rispettivi padri: chiusi nelle angustie del loro privato sembrano non accorgersi della quotidiana catastrofe delle famiglie di cui pure sono parte, come delle loro vite tanto frenetiche quanto insensate. In questo senso, il titolo del film sembra alludere più in generale all'"umanità" del "capitale", ovvero delle società "globalizzate" di oggi, dominate da un capitalismo sempre più finanziario perché in crisi e in preda alla disperazione e che tuttavia proprio sulla crisi punta per continuare a fare profitti e sopravvivere, secondo una logica "vampiresca" che la "critica dell'economia politica" del vecchio Marx aveva colto molto bene. Il "capitale umano" è allora certamente anche l'umanità moralmente e materialmente devastata dal capitale. E tuttavia tale devastazione non sembra intaccare minimamente la logica che la determina. "Avete vinto scommettendo sulla perdita dell'Italia" dice la moglie del finanziere brianzolo al marito di nuovo trionfante. La "vittoria" finale del protagonista e del suo gruppo è dunque la metafora della "vittoria" della logica capitalistica in quanto tale. Dopo il "lieto fine", una didascalia ci informa della somma di denaro con cui la famiglia del cameriere morto in un incidente per non essere stato soccorso è stata risarcita e che il risarcimento si chiama tecnicamente "capitale umano". In quella nuda cifra, valore di scambio della vita umana, è per l'appunto riassunta come in un geroglifico l'umanità del capitale.

Salvatore Tiné

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