martedì 14 gennaio 2014

L'amore equivoco


Cerco un brano dell'"Ulisse" di Joyce. Sfoglio il libro e non resisto alla tentazione di rileggerne alcuni brani che avevo sottolineato in precedenti e ripetute letture. Mi imbatto in alcuni passi in cui Bloom ricorda Molly, il suo amore per lei, la sua passione fisica, in fondo, nonostante tutto, ancora viva. Il senso della carnalità dell'amore è fortissimo in Joyce: nessuno come lui è riuscito a restituircelo trasformandolo in scrittura, in una sorta di "musica" fatta di parole, dandogli una "forma" che tuttavia non lo spiritualizzi, non lo sublimi. In questo senso, nonostante le apparenze, Joyce mi appare tutto il contrario di Wagner, pure molto amato dallo scrittore irlandese che da lui, ovvero dalla sua musica ininterrotta e magmatica, certo attinse non poco. Per contrasto ripenso a "La montagna incantata" di Mann, alle grandi pagine il cui lo scrittore tedesco racconta dell'amore tra il giovane Castorp e Claudia Chauchat, e in particolare a quella, indimenticabile, molto "wagneriana", di spasmodica quasi insostenibile tensione lirica e sensuale, del loro bacio "russo". Un "bacio sulle labbra" che, in una una strana ambigua luce di sogno, appare come il culmine infine raggiunto di una lunga, interminabile notte "tristaniana". E ripenso a come lo stesso Mann commentava quel bacio, la sua ambiguità: " A parer nostro, voler distinguere nettamente, in cose d'amore, fra timorato e appassionato, è bensì un'impresa analitica, ma- per ripetere le parole di Castorp- 'sommamente balorda' e perfino ostile alla vita. Che vuol dire nettamente? che cos'è il senso ambiguo? Noi francamente ce ne ridiamo. Non è forse un fatto grande e buono che la lingua possieda una parola sola per tutti gli aspetti che vi si possono comprendere-dal più timorato al più carnale e concupiscente? Qui sta il perfetto univoco nell'equivoco, perchè l'amore non può essere non corporale nell'estrema timoratezza, né non timorato nell'estrema carnalità, esso è sempre se stesso; sia come scaltro attaccamento alla vita, sia come suprema passione, è il consenso col mondo organico, il commovente e voluttuoso abbraccio di ciò che è destinato a corrompersi,...anche nella più ammirevole e più furiosa passione appare certamente la charitas. Senso ambiguo? Ma lasciate, Dio buono, che il senso dell'amore sia ambiguo! Se è ambiguo, vuol dire che c'è vita e umanità, e chi per questo stesse in pensiero, dimostrerebbe una desolata mancanza di scaltrezza.". In fondo nel testo di Mann citato c'è una fondamentale contraddizione: da un lato si afferma l'"univocità" del termine "amore", ovvero l'unicità del suo senso, a prescindere dai vari caratteri e dalle varie tipologie di cui l'amore è suscettibile e dall'altro si riafferma la sua sostanziale "ambiguità", ovvero la sua fondamentale "equivocità": per quanto "perfetto" l'univoco" dell'amore non può mai disgiungersi dal suo "equivoco": penso alla demonica ambiguità della pur verginale purezza di Ottilia ne "Le affinità elettive" di Goethe su cui Mann non a caso ha scritto un memorabile saggio. L'amore e perfino le sue più sublimi passioni partecipano pur sempre della distruttiva caoticità delle potenze della natura, al centro della tragica riflessione di Goethe in quel grande romanzo. Ecco forse è proprio questa misteriosa quanto "distruttiva"  equivocità dell'amore, per Mann, sempre "timorato" oltre che teso verso ciò che "è destinato a corrompersi", che non troviamo mai nella pagina di Joyce, nella sua totale, univoca immanenza al fluire della vita e non certo della sola "coscienza".
Ecco la vera,"perfetta univocità" dell'amore, forse spinoziano riflesso della "perfezione" del mondo, è forse l'"unica" sostanza" dell'"erotismo" joyciano.

Salvatore Tinè

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