11 aprile 2013
"La guerra è finita" è un film di Alain Resnais, sceneggiato da Semprun, del 1966. Vi si raccontano le vicende personali e politiche di un dirigente comunista spagnolo, Diego Mora, negli anni della dittatura franchista: un cospiratore, in età già matura, costretto a fare la spola tra Madrid e Parigi, ormai stanco, oppresso dalle fatiche del lavoro e della militanza politica, in un paese che non è più "il sogno del '36". Forse per lui "la guerra è finita", anche se continua a combatterla. Ma due storie d'amore scandiscono il racconto delle sue giornate frenetiche: una con una ragazza molto più giovane, anche lei una militante politica "rivoluzionaria" e un'altra con la sua compagna. Due storie d'amore che Resnais e Semprun ci raccontano soprattutto in due lunghe straordinarie scene erotiche, entrambe immerse in una luce irreale e di sogno. Nella prima di esse la giovane militante dice a Mora: "Tu potresti essere mio padre". La ragazza sembra cercare il padre proprio in un uomo che non è più in grado di esserlo: un dirigente rivoluzionario maturo che non sia anche una "figura paterna" per i militanti che guida e e dirige è un dirigente in crisi, per il quale, per l'appunto, "la guerra è finita". Ma forse per la giovane compagna, nel film incarnazione del futuro e della speranza, la guerra non è per niente finita, bensì appena cominciata. Ben diverso il senso dell'altra scena erotica, in cui vediamo Mora cercare e trovare rifugio tra le braccia della sua compagna, una meravigliosa Ingrid Thulin. "Tu sei qui, io sono felice" dice la donna al suo compagno e sembra voler dire, con queste poche e così semplici parole, che la felicità è sempre "qui" e "ora", ciò che di più prossimo vi sia a noi. Ma per un rivoluzionario, per cui, come dice lo stesso Mora nel film, "le virtù principali sono la pazienza e l'ironia" niente è più problematico e discutibile di questo senso della felicità, ovvero della sua "prossimità". E tuttavia mi chiedo se anche per un rivoluzionario la "pazienza" sia solo "patire", quindi sopportare e subire il presente, nel ricordo del passato oppresso come nell'"idea" del futuro, oppure possa anche significare "viverlo", sebbene, paradossalmente senza alcuna immedesimazione con esso, bensì nel distacco dell'"ironia" come, per dirla con Majakovskij, nella "distanza del comunismo".
Salvatore Tinè
Salvatore Tinè
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