giovedì 2 gennaio 2014

Itaca


"Mi sento bene solo nel viaggio tra un'isola e l'altra", dice la voce fuori campo di Nanni Moretti in una sequenza di "Isole", il secondo episodio di "Caro Diario". Pure in quelle isole, Nanni cerca se stesso. In una di esse va a trovare un amico, lì rifugiatosi per studiare l'"Ulisse" di Joyce, un romanzo, forse il più grande del Novecento, in cui il tema "omerico" del viaggio, del viaggio da un'isola all'altra alla ricerca della propria Itaca, era al centro del racconto della "giornata" di Bloom. Come Moretti in "In vespa", primo episodio di "Caro Diario" anche Joyce raccontava in quel libro una "passeggiata" del protagonista nella sua città. Ma la passeggiata di Bloom, eroicomica ripetizione del mitico viaggio di Ulisse si svolgeva dentro una città che il genio di Joyce trasformava da microcosmo in macrocosmo, risolvendo così la parodia nella metafora. Non così Moretti: con la sua Vespa egli si muove, completamente solo dentro una Roma tanto luminosa quanto vuota e deserta. Le sue soste sono inutili e il suo perenne muoversi in una città di cui niente vediamo dei suoi luoghi storici e monumentali e molto invece dei suoi lotti popolari e delle sue squallide, ipermoderne periferie, è solo l'insensato piacere dell'andare a zonzo, senza direzione ma libero, veloce come i battelli che lo trasporteranno da un'isola all'altra delle Eolie, in una Sicilia ancora miticamente "omerica". Inutili come le ricette dei tanti medici che scandiranno la sua ultima "passeggiata" per Roma in "Medici". Una calma, piacevole Odissea senza veri "eventi" o "incontri", dunque, si potrebbe definire l'insieme dei viaggi e delle passeggiate solitarie che Moretti ci racconta nel suo film-diario. Perfino il racconto della malattia è privo di passaggi drammatici: Moretti vi racconta la lenta scoperta della sua pelle, forse metafora della "superficie" della sua identità che lo separa e insieme lo distingue da tutti gli altri. La pelle è quanto di più esterno vi sia del nostro essere e insieme quanto di più "intimamente" appartenente ad esso. Il cinema è tale, in fondo, perchè mostra la "pelle" delle cose, ovvero il loro mero manifestarsi all'occhio che guarda. Di qui il moto perpetuo del suo sguardo: lo sguardo in Vespa, il suo agile volo sulle cose e la loro superficie è una metafora del cinema, forse non priva di qualche ricordo di Vertov e del suo "uomo con la macchina da presa": non si muove solo la realtà ma anche la macchina da presa che la riprende. La statica realtà  del mito non è quella del cinema: perchè diventi materia di "racconto", ovvero di "mythos" la realtà deve fissarsi nella "favola", cessare di muoversi. Solo così può "accadere" qualcosa nel mito. E Nanni sarebbe forse rimasto ad Alicudi, l'isola senza elettricità e televisione, come fuori dal tempo e dalla storia, se l'amico studioso dell'"Ulisse" di Joyce che lo accompagna non fosse scappato dall'isola, dopo avere scoperto che non si può vivere senza le "favole" della televisione, "analogon" moderno, ovvero parodia, di quelle omeriche dell'antichità. Alla fine dell'"Ulisse", Bloom torna a casa e la sua isola finalmente trovata, la sua "Itaca" sarà l'enorme culo di Molly, metafora cosmica dell'inafferrabile ancora a suo modo "mitica" bellezza del mondo. Nanni invece alla fine del suo film lo troviamo solo, seduto in modesto bar di periferia e guarito finalmente dalla malattia, mentre beve un salutare bicchiere d'acqua, metafora visiva di una rinnovata spinta vitale, di una ritrovata leggerezza. Eppure, adesso, sebbene solo alla fine del suo viaggio, anche fermo "si sente bene".

Salvatore Tinè

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