domenica 12 gennaio 2014

Io e te


4 novembre 2012 
Un ragazzo di quattordici anni, Lorenzo e una ragazza di ventiquattro, Olivia, figli dello stesso padre, si incontrano per caso dentro una cantina. In quel luogo chiuso e sporco, Lorenzo si è nascosto dai genitori per proteggersi dalla vita, dalla paura di diventare "adulto". Olivia, invece, invece, la vita l'ha già vissuta fin troppo: è una tossica e odia la madre del ragazzo, che le ha "rubato" il padre. Se il suo fratellastro è chiuso, timido introverso, lei manifesta apertamente i propri tormenti, le proprie inquietudini, a tratti perfino in modo aggressivo e violento. L'incontro tra i due giovani vede così scontrarsi due "solitudini". Impossibile non pensare a Ultimo tango a Parigi, all'incontro esplosivo tra un uomo maturo ma già finito, un vero e proprio naufrago della vita, Paul, e una giovane donna, Jeanne, inquieta e insoddisfatta. "Ultimo tango" raccontava l'incontro e lo scontro tra l'impulso autodistruttivo e nichilista di quell'uomo, privo ormai di ogni effettiva ragione di vita, con l'esuberante vitalità di una giovane donna ribelle alle convenzioni e alle coercizioni della "normalità" di una vita "borghese". Olivia sembra avere qualcosa di Paul e insieme qualcosa di Jeanne: è "autodistruttiva" come Paul, ma ancora troppo giovane per essere "finita". La sua giovinezza, la sua tenera e selvaggia sensualità, la prorompente fisicità del suo corpo, il suo stesso temperamento istintivo e ribelle la fanno piuttosto somigliare alla protagonista femminile di Ultimo tango. Ma se nel film del 1972, in uno squallido ma magico appartamento parigino, Jeanne si imbatteva in un uomo al di là della maturità, già alla vigilia della fine ma non privo di qualche tratto "paterno", nella cantina in cui si nasconde il fratellastro, Olivia si imbatte, invece, in un ragazzo non ancora diventato uomo, ancora al di qua del difficile e tormentoso passaggio dalla prima adolescenza alla maturità della vita. Significativa in tal senso la prima inquadratura del film in cui vediamo Lorenzo con il viso abbassato di fronte al suo psicanalista che lo interroga. Lorenzo non si lascia guardare e a sua volta si rifiuta di vedere. Il primo piano sul suo sguardo apparentemente freddo, indifferente ricorda un'analoga inquadratura di Arancia meccanica sugli occhi del protagonista maschile di quel film, Alex, il cui volto non è peraltro privo di una qualche somiglianza con il giovanissimo attore che interpreta Lorenzo. Alla domanda dello psichiatra che gli chiede cosa significhi per lui "normale", egli risponde "niente": come il vampiro protagonista del romanzo che portera con sé nella cantina, anche lui ha, in fondo, paura di essere "annientato" dalla "luce del sole", ovvero dalla realtà stessa del mondo. Perciò la sua curiosità si volge verso la semplice, muta vita degli insetti e dei pesci. Le uniche forme di "società" che lo interessano sono quelle "animali". Il rapporto con essi è l'unico infatti che non metta in discussione la sua autoreferenzialità; esso è forse l'unica modalità di relazione possibile per un ragazzo che appare affetto da una tipologia di narcisismo, apparentemente non meno "psicopatica", come la definisce la stessa sorella, di quella che caratterizzava il giovane Alex di Arancia meccanica, sebbene tutt'altro che violenta e distruttiva. Tuttavia, la sua vita sembra proporre una diversa "visione" della realtà, uno sguardo alternativo su di essa. In cantina, porta con sé una lente di ingrandimento con cui osserva da vicino le sue amate formiche, la loro operosa vita in comune. Viene in mente la celeberrima sequenza deLa corazzata Potemkin in cui il medico di bordo della nave, con i suoi occhialini osservava i vermi della carne putrefatta, orrorifica immagine simbolica dell'ormai morente regime zarista. Come quella del film di Ejzenstejn, anche la lente di ingrandimento di Lorenzo, è in fondo, una metafora del cinema e della sua superiore capacità di visione. Lo stesso film di Bertolucci è una "lente di ingradimento" sulla vita sotterranea e "invisibile" come quella delle formiche, di Lorenzo; una lenta di ingrandimento con cui tenta di scavare dentro la sua e la nostra paura di guardare e soprattutto di essere  guardati. Come diceva Sartre lo sguardo degli altri ci riduce inevitabilmente ad "oggetti", annullando la nostra soggettività come tale "invisibile". In questo senso, il film sembra "guardare" Lorenzo allo stesso modo in cui Lorenzo guarda e osserva affascinato la vita delle sue formiche, in fondo identificandosi nella loro vita "minuscola", segreta, nascosta. Il cinema non si limita a guardare la superficie della realtà, ad "occhio nudo" per così dire, ma tenta sempre di guardare ciò che vi si nasconde, ciò che si sottrae alla nostra visione più immediata delle cose e di noi stessi: esso è l'arte di rendere "visibile", magari "ingrandendolo", l'invisibile. Un occhio tecnologico, forse, molto più che naturale, superiore alla normale" capacità di visione dei nostri occhi. In questo senso, il cinema è veramente tale se il suo sguardo penetra anche dentro il buio, ovvero se riesce a cogliere la realtà delle cose nell'oscurità che le avvolge e non solo nella luce che ne rivela la mera superficie. L'esistenza "notturna" dentro la quale Lorenzo si è chiuso, il suo "vampiresco" rifiuto della luce del sole, proprio sottraendogli ogni sguardo sull'immensa, inafferrabile vastità a del mondo esterno,  finiscono per esaltare la sua capacità di visione sia fisica che onirica: del resto, già Hitchcock, nel suo grande Intrigo internazionale, ci ha mostrato come lo spazio aperto, infinito può essere molto più inquietante e pauroso di uno spazio chiuso. Certo, la prigione dentro la quale si è chiuso èla stessa "prigione" della propria mente: le sue visioni sono i propri fantasmi, i propri sogni, proiezioni di quello che il suo psichiatra definisce un "sè grandioso". In un primo momento l'ingresso della sorella nella cantina viene così percepito da lui come una fastidiosa intrusione nello spazio di isolamento e di protezione che egli si è costruito: perciò cerca in tutti i modi di "difendersi" da lei, tentando di cacciarla fuori dal suo nascondiglio. Dopo il suo contraddittorio tentativo di distacco dalla madre e dal rapporto "edipico", di odio e amore, nei confronti di lei, egli si trova nuovamente costretto alla "relazione" con un'altra figura femminile non priva di alcuni tratti "materni", ma certo lontanissima dalla rassicurante ma anche banale normalità borghese della madre. Una figura "reale", per quanto estranea alla realtà della famiglia dentro la quale è nato e cresciuto, non un'ennesima proiezione della sua mente. L'incontro con la sorella  lo costringerà a seguire il lungo percorso di dolore e di sofferenza anche fisica di Olivia e il suo tentativo di disintossicazione, e a superare così la sua iniziale posizione di indifferenza e distacco: ciò che lo indurrà ad avvicinarsi sempre di più a lei, ad assisterla, quindi ad aprirsi finalmente alla dimensione della "relazione" con l'altro, molto più degli astratti consigli del suo psicanalista. Eppure, ai suoi occhi, è piuttosto lei una figura "salvifica" per lui. In quella cantina è apparsa improvvisamente come un fantasma nella notte: ma presto il fantasma prenderà le sembianze di un Angelo, per quanto fragile e sofferente, un Angelo "che non vola più" come dice la canzone che canterà al fratello in una delle sequenze finali, ma che lo "salverà" conducendolo per mano verso la vita, fuori dalle mura soffocanti del nascondiglio. Il dolore psichico e fisico della sorella diventerà così anche il suo dolore. Con la poesia del cinema, con il linguaggio delle inquadrature, delle luci, della fotografia Bertolucci cerca di fermare la bellezza, la struggente poesia di un corpo giovane ma già sofferente, il corpo di una donna che, come dice la stessa protagonista femminile del film, "è tutta un livido". La giovinezza è l'età del primo, traumatico, impatto con la vita: essa è il tempo inafferrabile, "in bilico" per dirla con Benjamin, che sta in mezzo tra l'età dell'assoluta "purezza" e ingenuità e quella della piena consapevolezza della vita. Essa è in fondo la felicità stessa, ovvero cio che vi è di più transitorio e insieme di più "eterno". Attraverso la droga anche Olivia ha tentato di attingere una condizione di indifferenza nei confronti del mondo, seguendo, tuttavia, un strada diversa e opposta a quella del fratello, ovvero tentando di fuggire, di evadere da se stessa, consapevole in fondo che non si può "annullare" la realtà del mondo e degli altri se non annullando nello stesso tempo la propria stessa soggettività, il proprio stesso "io". Se Lorenzo ha provato a "fuggire" chiudendosi, lei, viceversa, ha provato a fuggire "evadendo". Il suo pianto straziante di fronte allo sguardo prima indifferente poi sempre più vivo e dolce del fratello rivelerà a lei stessa e a Lorenzo l'assurdità del suo di tentativo di evasione dalla vita. Due percorsi di vita e di formazione opposti, dunque, quelli rispettivamente seguiti da Lorenzo e da Olivia. Dopo il doloroso fallimento del suo percorso di "evasione" da se stessa e dalla realtà, sarà tuttavia Olivia a convincere il fratello ad un'altra e diversa "evasione", quella fuori dalle mura della sua prigione, non più però adesso verso i "paradisi artificiali" dell'eroina ma verso la realtà del mondo che li attende là fuori. Le sue lacrime esprimono la sua ritrovata capacità di soffrire e di vivere, quindi la ritrovata capacità dei suoi occhi di "guardare" il mondo, di sopportarne e accettarne la realtà. Viene in mente un brano di Broch, da La morte di Virgilio. "Perché la verità dell'occhio non è dolce lusinga; solo con le sue lacrime l'occhio diviene veggente, nel dolore soltanto diventa occhio che vede...". L'"occhio che vede" è in fondo quello del "cinema di poesia", ovvero l'occhio che cerca il senso della realtà, perfino il suo senso poeitico nella realtà stessa e non fuori di essa. In uno dei dialoghi tra i due fratelli, Olivia tenta di convincere il fratello della verità dell'idea che attribuisce al buddhismo, secondo cui la saggezza della vita consiste nell'accettare la realtà cosi com'è. Una tesi dentro la quale si nasconde una visione "rivoluzionaria", tutt'altro che quetistica della vita, del nostro essere e stare al mondo. Accettare il mondo è il presupposto per trasformare il mondo e insieme con esso noi stessi. Ma sapere accettare il mondo significa anche sapere vivere e accettare il dolore: non c'è conoscenza, ma neanche vita senza dolore. L'incontro con la sorella segnerà così nella vita di Lorenzo la scoperta insieme del dolore e della vita. Una scoperta che si accompagnerà a quella del corpo femminile, colto finalmente nella sua concreta dimensione fisica e non solo "onirica". Per la prima volta, userà la sua lente di ingrandimento non per contemplare le sue formiche ma per osservare direttamente, da vicino il corpo della sorella dormiente, il suo volto, la sua pelle, la vita biologica e l'eros che vi pulsano dentro: una nuova esperienza mediata da una nuova capacità di "vedere". Se prima ha solo "sognato" il corpo di una sconosciuta, conservandone in un libro una fotografia che lo ritrae in tutta la sua inquietante bellezza, adesso quel corpo viene osservato da vicino: con la sua lente di ingrandimento tenta, al fondo, di cogliere al di à della superficie della pelle il mistero del loro amarsi, forse cercando proprio nella "consaguineità" le radici più profonde e insondabili della loro unione. L'esperienza dell' amore come superamento della barriera, del "muro" che divide l'io dall'altro diventa così per Lorenzo la premessa per abbattere anche il muro che lo separa dalla realtà del mondo esterno. Scoprendo l'amore per la sorella comincerà così ad uscire dalla sua vita in "apnea", ad avvertire il bisogno di "respirare" all'aria aperta, fuori dallo spazio claustrofobico del suo "io". Un'improvviso bisogno di muoversi, un'ansia di vita cominciano a scuoterlo ed inquietarlo; comincia a sentirsi, come un animale in gabbia, costretto ad un movimento puramente "ciclico", "ripetitivo". Lorenzo aiuterà la sorella ad uscire almeno momentaneamente dal tunnel della droga e a riappropriarsi così della propria vita, mentre Olivia lo aiuterà invece a superare le angosce e paure infantili che gli hanno impedito fino a quel momento di dare concretezza, realtà effettiva alla sua ricerca di libertà e di indipendenza. La scena in cui Lorenzo e Olivia ballano insieme, vera e propria esplosione fisica del loro amore è certamente un grande momento di "cinema di poesia". Solo dopo avere ballato da soli ma insieme, in quella cantina, potranno uscire finalmente all'aria aperta e salutarsi. E' il loro "primo ballo" molto diverso dall'"ultimo tango" a Parigi di Paul e Jeanne. L'ultima inquadratura, il fermo immagine sul primo piano del ragazzo di nuovo solo ma "diverso", sul suo volto felice e sereno è molto bella. E' il suo primo sguardo da uomo sulla realtà e sul mondo esterno, l'"inizio" di un altro "viaggio" nel tempo e nello spazio della vita, fuori finalmente dallo spazio claustrofobico del sogno. Il cinema è questo, come ci ha insegnato Anghelopoulos: il racconto per immagini del nostro "viaggio" nel mondo alla ricerca del nostro vero sé, della nostra identità più autentica, la ricerca del primo sguardo sulla realtà, lo "sguardo di Ulisse".

Salvatore Tinè.

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