domenica 26 gennaio 2014

Senza Papi

28 aprile 2011 


Non credo che "Habemus papam" sia solo un film sulla fragilità umana. Credo che sia anche e forse in primo luogo un film sul potere. Non a caso segue di qualche anno "Il Caimano", un film che del potere rivelava le tante facce, quelle attraenti e fascinose come quelle più orrende e ripugnanti, più abissalmente distanti da ogni idea di giustizia e di  moralità. Il film parla di un papa che rifiuta la sua elezione ovvero la "scelta dello Spirito Santo" e della costernazione in cui questo gesto così radicale da rasentare l'assurdità getta le masse che pure del potere del papa hanno maledettamente bisogno. Dunque più che della fragilità il film ci parla dei limiti della autonomia degli uomini ovvero della loro capacità, si potrebbe dire parafrasando Immanuel Kant, di usare il loro intelletto e di decidere della loro vita, senza la guida di un altro. Il potere, infatti, non è solo coercizione; esso è anche guida, guida morale e spirituale, "egemonia", per dirla con Gramsci. Quella del  papa che nega se stesso mescolandosi in mezzo ad una folla di giovani che cantano e suonano in Piazza San Pietro è un'immagine straordinariamente poetica ma anche terribile. Significa che per quei giovani non c'è più una guida, che devono fare da soli, ricostruire da soli una società andata in pezzi, ripensare la loro vita senza più i riferimenti e gli schemi ideologici tradizionali. Lo scetticismo dello psicanalista, un'altra guida fallita, non è una vera alternativa: è solo la consapevolezza solo apparentemente ironica e leggera, della crisi nella quale ci troviamo. Il gioco della pallavolo è la metafora di una "leggerezza" terribile, quella di una vita senza più un senso predeterminato. E' cioè in fondo il modo in cui lo stesso psicanalista ironizza sulla illusorietà delle soluzioni cosiddette post-moderne, tutte centrate sull'idea che, proprio perchè senza un senso imposto da dio o da un'autorità che lo sostituisca, la vita possa trasformarsi in un "gioco" fine a se stesso: lo psicanalista che pure è riuscito a trascinare i cardinali in attesa del papa, a giocare un torneo di pallavolo rimane non a caso chiuso nel Vaticano insieme con quei cardinali un po' ingenui e bambini, come in un film di Bunuel, prigioniero del proprio "inconscio" come il papa lo è della propria "anima". Ma neanche la fuga del papa da San Pietro in una Roma di cui pure Moretti esalta la luce e la bellezza da cui è meravigliosamente avvolta, è veramente liberatoria. Non si esce dalla crisi dell'autorità, solo uscendo fuori da un palazzo diventato per lo stesso papa appena eletto  una prigione soffocante e claustrofobica. Lo "spettacolo" del potere deve continuare. Moretti riflette in fondo su questa essenza "barocca" del potere, in nessuna altra sua manifestazione più clamorosamente evidente che nel caso della Chiesa cattolica, gigantesca messa in scena di una autorità che si vuole sia politica che spirituale, "sacra rappresentazione" del potere. Perciò il papa è, deve essere per svolgere il suo ruolo, il più grande attore del mondo. La passione per il teatro del papa ha questo significato profondo e straordinariamente inquietante: il potere non è solo terribile e schiacciante per chi lo esercita e per coloro su cui viene esercitato ma può spesso essere solo una maschera vuota. Non a caso l'unico momento in cui vedremo il papa felice sarà  dentro un teatro, mentre da da spettatore applaude la performance di un attore pazzo. Ma è solo un'illusione; presto arriveranno i cardinali a riprenderlo, ad applaudire lui, pure seduto in un palco, ritornato attore. Il papa ritornerà nel palazzo con i cardinali, come la responsabilità di chi guida e governa gli impone. Ma il suo ultimo gesto sarà appunto quello di gettare la maschera. La conclusione del film non potrà allora che essere quell'inquadratura sulla finestra del Vaticano, vuota. Del "cambiamento" evocato dal papa nel suo primo e ultimo discorso nulla sapremo: né sapremo se esso alluda alla "fine" del potere così come lo abbiamo conosciuto nella storia o ad un'altra ancora sconosciuta sua figura, magari in un utopico mondo senza Papi.

Salvatore Tiné

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